Nello spazio e nel tempo

Nello spazio e nel tempo della scrittura tutto può e deve essere possibile.

Tutto e il contrario di tutto, se “tutto” indica sì una quantità non ben definita (o irrimediabilmente difficile da contenere nell’immaginazione) ma anche e soprattutto la profondità con cui questa dovrebbe essere raccontata.

Ma nella scrittura in cui ci si imbatte e con cui si è costretti a fare i conti da più di vent’anni, il dono dell’imprevisto, del “tutto” complesso e stilisticamente superiore, ha lasciato il posto a patetici tentativi d’opera.

A cominciare dalla gestione del tempo e dello spazio.

  • Gestione dello spazio

Nello spazio e nel tempo della scrittura non si ha l’obbligo dell’informazione certa.

La contestualizzazione spaziale dietro alla quale molti autori del mainstream si rifugiano per i loro apparenti non confessabili pensieri e comportamenti, si realizza sempre in luoghi fintamente umanizzati, ingenuamente “reali”, dotati di una quantificabile e determinata distanza relazionale (vicino, lontano, a due passi da, sopra, sotto…).

Questo li conforta e li tranquillizza, perché attraverso esperienze semplici e ben collocate in un preciso spazio d’azione, possono narrare la banalità dell’essere. Ovvero, possono descrivere quello che “tutti pensano e sentono”, senza mai scoprire le loro vere intenzioni (sempre che ne abbiano).

Non desiderano altro che compiacere a tutti i costi, evitando accuratamente di risultare “pesanti” e complessi nel lessico, asserviti a un mercato editoriale sempre meno esigente.

Fingono oppure una spregiudicatezza sessuale, cercando di risvegliare nel lettore quell’eccitazione da iniziazione adolescenziale che bene si confà a letture distratte in assolati momenti vacanzieri o in tediose domeniche invernali.

Ricordiamo che lo scrittore non è uno storico, a meno che non scriva esplicitamente di fatti e uomini più o meno lontani nel tempo (ma allora si tratta di un lavoro di attenta ricerca, spesso di accademia). Non è neanche un giornalista (mestiere diverso e mal conciliabile con l’autorale).

Nella scrittura di romanzi o racconti si seguono regole diverse rispetto a quelle imposte dalla scrittura scientifica o giornalistica.

Nello spazio e nel tempo della scrittura non si ha perciò l’obbligo dell’informazione certa. Lo scrittore ha dalla sua lo strumento della più libera interpretazione di ciò che vede e vive – compresa quella di gestire una punteggiatura e una struttura del periodare svincolata da regole imposte per convenzione, perché profondo conoscitore di tutti quei dettami che si accinge ad infrangere e a sovvertire -.

Cioè è libero da ogni legame. Non deve piacere a tutti i costi. Non deve essere politicamente corretto, non deve ammantarsi di infinita umanità per scrivere.

Uno scrittore deve scrivere perché ha l’esigenza di farlo e di farlo senza rispettare regole preconcette, senza essere ingabbiato in uno status, senza obblighi morali.

I buoni sentimenti a tutti i costi, quelli decomplessificati, pensierini da scuola elementare di certi scrittori e poeti contemporanei o il loro rozzo humor nero, dovrebbero essere lasciati ai giornalisti del caffè del mattino, a certe riviste patinate, a certi “strilloni” che fanno dell’insulto un comodo alibi per nascondere l’assoluta mancanza di pensiero.

Parole mainstream. Si soffre la mancanza di complessità e di profondità di pensiero.

Nel narrare un’azione, una storia o un singolo istante fatto di sensazioni o percezioni, gli scrittori cólti possono invece sottrarsi dall’obbligo di precisare il luogo in cui tutto si svolge.

Possono delinearne semplicemente i contorni, descriverne solo alcune caratteristiche o raccontare anche i più piccoli dettagli, senza però permettere il riconoscimento di un luogo preciso, che abbia nome e coordinate certe e, magari, instillare nel lettore il dubbio che si tratti di un sogno, di un’allucinazione, di una rêverie, insomma.

Il luogo deve suscitare curiosità e interesse nel lettore, senza però svelarsi troppo. Niente di più facile che risultare banali.

Anche quando uno scrittore cita il nome di un luogo e ne indica sezione e inquadramento, questo può risultare ineffabile, difficile da cogliere nella sua interezza.

Perché uno scrittore deve rispondere soprattutto a se stesso, alle sue intenzioni, alle sue sensazioni.

E queste mai saranno dirette verso spiegazioni pedisseque e non richieste, verso il tutto esplicitato, perché è il mistero del vero/non vero, che da sempre avvolge la finzione letteraria, a costituire l’unica e la sola regola dell’animo autoriale.

  • Gestione del tempo

Usciamo dalla linearità. Deformazioni nello spaziotempo.

Posso fare lo stesso con il tempo?

Apparentemente no, perché si suppone che, per convenzione, il tempo sia lineare o unidirezionale, una sorta di freccia lanciata verso un obiettivo che siamo certi possa trovarsi solo davanti a noi.

Ma se abbandonassimo le convenzioni per una moderna relatività, potremmo collocare ogni cosa all’interno di un momento che non avrebbe specifiche dettagliate.

Certo la difficoltà nel discorso narrativo sta nell’uso imprescindibile del tempo verbale, mi si potrà obiettare. Vero, ma se usassimo con attenta esperienza momenti verbali differenti, magari all’interno di un flusso di coscienza, allora sì che il tempo non avrebbe un periodo fisso e statico, preciso, ma tutto sarebbe insondabile, sospeso, ammantato di quel mistero che permette di essere lì dove si desidera essere, dove la nostra mente vuole abitare, visitando luoghi o persone del passato o del futuro, pur restando fisicamente ancorati a terra.

La finzione letteraria non può avere confini.

Nello spazio e nel tempo, la finzione letteraria non può avere confini.

Le strutture non possono più essere rigide, predeterminate, limitanti. Non si può più affermare con certezza che il mio atto narrativo debba imprescindibilmente essere raccontato solo utilizzando determinazioni temporali certe e assolute. Poiché nulla è più instabile e relativo del tempo.

E la scrittura, linguaggio e parodia di se stessa, per “arrivare” davvero e per fare a pezzi codici, significanti e significati, invenzioni verbali, dovrà sempre esplodere “in schegge di incandescente (espressionistica) espressività”, come scrisse Alberto Arbasino.

 

 

 

di Mariaclara Menenti Savelli (Editore di Kressida, Storico dell’Arte e Critico Letterario)

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Per approfondire la tematica Manifesto Decostruttivista

Introduzione al concetto di Entropia in Scrittura

L’Entropia (dal greco. ἐν «dentro» e -tropie «-tropia» volgere, quindi tendenza a rivolgere l’attenzione in varie direzioni) è un concetto scientifico che misura il grado di equilibrio raggiunto da un sistema in un determinato momento. Ma può divenire strumento per lo scrittore. Vediamo quindi un’introduzione al concetto di Entropia in Scrittura. 

La II Legge della Termodinamica afferma che l’energia termica (il calore) fluisce sempre da un corpo più caldo a uno meno caldo e mai in direzione contraria. Se concepiamo il tempo come lineare, allora possiamo affermare che tutto ciò sia assolutamente vero, poiché prima si nasce e poi si muore e mai viceversa.

Ma il tempo è davvero lineare?

Il concetto di Entropia in Scrittura potrebbe riassumersi come l’ordine nel disordine o viceversa, poiché il tempo non è una lunga linea unidirezionale e quindi non possiamo distinguere tra passato e futuro.

La scrittura usa l’entropia come energia interiore, da impiegare per analizzare, descrivere, precisare, trasformandola così in uno strumento, in un pensiero, coniugando lo spirito scientifico con la sottile sensibilità lirica.

Ma come appropriarsi di un concetto scientifico e farne uno strumento di scrittura?

Le strade possono essere molteplici. Calvino utilizza, ad esempio, il concetto di entropia per il superamento del contrasto tra pensiero scientifico e pensiero umanistico, quindi tra sperimentazione e attività conoscitiva.

Italo Calvino
Entropia in scrittura. Italo Calvino

Ma vediamo altri esempi pratici di scrittura entropica:

Gli operai ricurvi ci demoralizzano […] invece di finirla con quell’odore di olio. Ci si arrende all’odore e al rumore come ci si arrende alla guerra e per notti intere quel rumore d’olio proprio come se mi avessero messo un naso nuovo, un cervello nuovo per sempre

Céline,Viaggio al termine della notte

Louis Ferdinand Céline
Louis Ferdinand Céline

Sensazioni immediate che si percepiscono nelle solitarie passeggiate, il soffocante tanfo di sudore che si mescola al profumo di cibo e al fumo e al vapore liberato dall’acqua […] e al rinfrescante crepuscolo e al mio appartamento odoroso di calce fresca

Tadeusz Borowski, Il mondo di pietra

Tadeusz Borowski
Tadeusz Borowski

Abade: metà francese e metà annamita, viveva sul suo pianeta strano e solitario […] dove le nuvole, l’odore delle poincine le giungevano come una musica che emergeva a intervalli da un’oscurità urlante di discordanze

Thomas Pynchon, Entropia

L'edizione americana di "Entropia"
L’edizione americana di “Entropia”

 

Articolo di Mariaclara Menenti Savelli (Editore di Kressida, Storico dell’Arte e Critico Letterario)

 

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A occhi chiusi ascoltiamo la musica interiore (I parte)

A occhi chiusi ascoltiamo la musica interiore (I parte): partiamo per un viaggio alla ricerca delle emozioni della scrittura.

“L’arte della scrittura”, opera del III d. C. del poeta cinese Lu Ji, funzionario di corte, risulta un testo quanto mai attuale. Dopo averlo letto e interiorizzato, mi sono chiesta come mai la scrittura, da sempre considerata pratica sacra, valore da proteggere, in cui contenuti ed estetica dovrebbero unirsi al rigore e all’onestà intellettuale, sia stata vista invece, in certa letteratura odierna, come una pratica inutile a cui applicarsi, un mero passatempo in cui trastullarsi.

A occhi chiusi ascoltiamo la musica interiore (I parte) – La scrittura è pratica sacra, in cui contenuti ed estetica dovrebbero unirsi al rigore e all’onestà intellettuale.

Il mondo ha bisogno di riscoprire nella scrittura una guida anagogica, una maestra di vita e di necessità intellettuale e sì, anche fisica, carnale, capace di occupare lo spazio e il tempo senza limiti e barriere.

Lu Ji traccia una strada, una linea di pensiero che potrà sembrarci anacronistica e che potrebbe anche risultare estranea a una prima lettura, ma che ci permette di guardare oltre il tempo e noi stessi.

Dobbiamo riappropriarci di bellezza, contemplazione e azione, abbandonando banalità e cliché

Pensare che quelle parole, pronunciate nel III secolo d.C., siano talmente radicate in noi, può allarmarci, disorientarci, ma anche permetterci di riflettere sul come riappropriarci di tanta bellezza, contemplazione e azione, abbandonando banalità, cliché e ritrovando il desiderio, il piacere della scoperta, della curiosità, dell’emozione.

Sull’inizio:

       A occhi chiusi ascoltiamo

       la musica interiore,

       smarriti tra domande e pensieri.

      […]

     Mettiamo immagini e parole

     tra quelle non raccolte

    dalle generazioni precedenti. 

L’inizio, l’incipit, il principio. Quando inizi a raccogliere i pensieri per trasformarli in parole, è come quando cerchi i suoni, la tattilità di emozioni non raccontate prima. La scrittura è una eco profonda tra spiritualità e materialità, contatto con noi stessi e con la realtà che percepiamo. Musica interiore che si fa parola, risonanza di immagini che nella nostra mente si saziano di desideri e di profondità.

L’inizio è tutto. È il modo in cui mostriamo come vogliamo essere, cosa vogliamo mostrare di noi e del nostro sentire.

L’inizio riporta il tutto a una rete di simboli e valori.

È il pensiero racchiuso in una parola, attimo che si fa tempo indefinito e che riporta il tutto a una rete di simboli e di valori. L’inizio è ciò che ci distingue, è la soggettività, l’unicità, l’essenza stessa del percepire e del percepirci.

Sullo scegliere le parole:

    Il poeta fa luce nell’oscurità profonda, 

    che questo voglia dire rende facile il difficile,

    o difficile il facile

Scegli, seleziona, ragiona sulle parole da unire ad altre parole, in un incedere a volte leggero, a volte faticoso, come quando inizi un viaggio, sapendo che la strada che hai scelto ti porterà là dove hai deciso di andare o dove la scrittura decide di condurti.

La scrittura è spirito vivo e sostanza immateriale che fin quando rimane dentro di noi è immersa nel disordine rimbombante dei pensieri.

Ma quando è pronta a staccarsi, a uscire fuori e possiamo farne corpo vivo e suggestione, allora desideriamo di assaporarne ogni singola vibrazione, ogni più piccolo momento.

Ma quanto è difficile scegliere le parole giuste?

Quanto ci costa enumerare, arricchire, sfamare i nostri pensieri con parole a più alto valore nutritivo, per far germogliare i nostri sentimenti? Siamo davvero noi a decidere sempre quali espressioni scegliere per descrivere ciò che proviamo o è la scrittura che, come un fuoco ardente, semina scintille e accende tutto ciò su cui si posa?

  Continua… Leggi qui la seconda parte

 

 

di Mariaclara Menenti Savelli (Editore di Kressida, storica dell’Arte e critico letterario)

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