Onozukara 自ずから- Vivere naturalmente

Onozukara 自ずから: “vivere naturalmente”. Una parola che pare contenere l’universo. Con questo approfondimento vi conduciamo alla scoperta della libertà naturale, vista attraverso il pensiero non dualistico della filosofia giapponese. 

Esiste un senso di libertà che spesso viene dato per scontato ed è quello che ci permette di vivere in accordo con noi stessi e con i cicli della natura.

Per molte persone non è immediato afferrare questo principio apparentemente semplicistico ma profondamente istintivo. Il mondo attuale ci ha abituati alla separazione e alla disgregazione delle parti in nome di una imprescindibile categorizzazione del tutto. Senza di essa sentiremmo di non avere gli strumenti necessari per comprendere ciò che ci circonda. Pare quindi necessario, per poter funzionare correttamente in questo sistema a compartimenti stagni, sottoscrivere tacitamente il frazionamento del proprio essere in mente, corpo e spirito. Separando così ciò che era originariamente unito.

Questa divisione affonda le sue radici in un tempo ormai lontano. Per questo non dovrebbe sorprenderci il nostro modo di vivere nella continua percezione di trovarci in un ecosistema a sé stante, distinto dal macrocosmo della natura ed indipendente nelle sue forme di pensiero più evolute ed organizzate.

In questa visione riduzionista, la “naturalezza” è stata allontanata dal concetto stesso di natura, asservendo ogni movimento del cosmo a leggi costruite dall’uomo secondo un’osservazione soggettiva e duale dell’universo. Restituendoci un mondo basato sullo sfruttamento e sulla superiorità antropocentrica. 

Per comprendere al meglio il concetto di “naturalezza” è utile rivolgere la nostra attenzione a una visione più olistica e comprensiva. Come quella suggerita dalla filosofia giapponese, per la quale la natura non è mero oggetto di studio, ma un modo di vivere con presenza e consapevolezza.

L’analisi etimologica dei termini utilizzati per trattare questo tema è un ottimo punto di partenza per aprirsi a una percezione più inclusiva. Iniziamo con la parola giapponese che modernamente traduce “natura”, ovvero shizen 自然.

Originariamente shizen veniva utilizzata sia sotto forma di aggettivo (“naturale”), che di avverbio (“naturalmente”). Essa era così più legata alla concezione del muoversi in accordo con l’universo, rispetto a una definizione, quella attuale, piuttosto restrittiva.

Nachisan, Nachikatsuura, Japan
“Vivere naturalmente” in accordo con noi stessi e con i cicli della natura, dona un senso di libertà.    Via del pellegrinaggio sacro Kumano Kodo a Nachisan, Nachikatsuura

 

 

Interessante notare come il radicale (l’unità di base dei caratteri giapponesi) che troviamo in shizen 自, sia lo stesso che compone la parola “libertàjiyū 自由

È presente anche nel termine onozukara 自ずから, il cui significato letterale descrive “ciò che è, così com’è”. Questo conferisce a tutti questi concetti un’immediatezza simbolica che si rivela solo in accordo con la comprensione profonda di shizen nella sua definizione originale: “tutto ciò che occorre con naturalezza”.

A una prima lettura, il significato di onozukara può apparire complesso e a tratti sfuggente, soprattutto se tentiamo di interiorizzarlo attraverso il ragionamento schematico del pensiero occidentale. Occorre aprirsi a una visione non duale del concetto di libertà e natura. Cercando tra le righe quegli spazi di accettazione e consapevolezza che spesso si nascondono in ciò che preferiremmo fosse immutabile e perfettamente definito.

È così che un principio all’apparenza indecifrabile si rivela un assioma essenziale: trovando il nostro posto nella natura, siamo naturalmente liberi.

Foresta di bambù di Arashiyama, Kyoto
Onozukara 自ずから- Occorre aprirsi a una visione non duale del concetto di libertà e natura. Foresta di bambù di Arashiyama, Kyoto

In un mondo sempre più in rapida trasformazione, dove riconoscere la propria dimensione sembra ogni giorno più difficile, questo tipo di emancipazione spirituale e personale può derivare solo da un’autentica comprensione del mondo naturale. Da un ritorno all’apprendimento esperienziale, facendo riferimento alle nostre radici più profonde e ancestrali.

La sapienza orientale da millenni ci suggerisce come l’essere umano sia in grado di riprodurre nel suo microcosmo, costituito dalla totalità della persona, quanto accade nel macrocosmo che lo circonda, mettendolo nella posizione di assumersi le sue responsabilità rispetto al suo rapporto con sé stesso e la natura.

Effettivamente, questi due regni hanno in comune molto più di alcune riflessioni filosofiche. Secondo la visione creazionista orientale entrambi sono stati generati partendo da una stessa fonte originaria e da sempre sono animati dalla medesima energia vitale chiamata ki (o qi), responsabile del loro sostentamento e della loro trasformazione.

Lo Shintō, la religione autoctona del Giappone, riconosce l’essenza del divino (kami) in tutto ciò che potenzialmente è in grado di manifestare questo flusso energetico: un fiume, una pianta, un animale, una foresta. Per questo, nei secoli, ha sviluppato una sincera forma di rispetto e cooperazione con la natura. 

Cervo sacro a Nara
Onozukara 自ずから”Vivere naturalmente” – Nei secoli la cultura giapponese ha sviluppato una sincera forma di rispetto e cooperazione con la natura. Cervo sacro nel santuario Shintō di Kasuga, a Nara

L’essere umano, secondo questa lettura, non solo è parte di un sistema armoniosamente perfetto, ma ne trae ispirazione per la sua vita quotidiana e per tutte quelle discipline volte alla crescita e al miglioramento.

Con il passare del tempo, questo legame indissolubile ha cambiato forma, lasciando spazio al desiderio di dominio antropocentrico. E portandoci ad un disastro ecologico del quale vivremo le conseguenze per lungo tempo.

Riconquistare la naturalezza, in questa particolare visione orientale, non è più solo un atto mentale, ma è soprattutto una liberazione, che si realizza con la morte dell’ego e un ritorno al sentire più autentico.

Quando la coscienza viene ricondotta al principio, alla radice, allora realizza che è sempre stata interconnessa alla natura. E questo rapporto non si basa solo sul comprendere il mondo per ciò che ci può offrire in termini di produzione e sostentamento. Si tratta altresì di un desiderio benevolo e altruistico nei confronti di tutti gli esseri senzienti e dei fenomeni che animano l’universo.

Un percorso di consapevolezza può condurci a capire che il nostro frenetico desiderio di agire sui flussi naturali, modificandone il corso, è solo l’illusione di una visione duale che vorrebbe farci credere di poter controllare il ritmo della natura secondo i nostri bisogni.

Quello che ci aspetta non è un sentiero facile. Ma è assolutamente necessario per poter riconquistare non solo la nostra libertà naturale, ma anche la possibilità di creare un futuro di convivenza armoniosa con tutto ciò che ci circonda e ci appartiene. Tanto quanto apparteniamo a noi stessi.

Onozukara 自ずから è un termine che ci insegna a “vivere naturalmente”. Apprezzando la spontaneità della natura e accettando l’impermanenza come forza creativa. Liberandoci da una gabbia ideologica.

È tra le sfumature di una parola che pare contenere l’universo, che potremmo trovare la via per ritornare ad una saggezza pratica. Una saggezza che ci rimetta in accordo con il nostro ambiente e ci insegni il rispetto e la meraviglia per “ciò che è, così com’è”.

 

 

 

di Veronica N.M. Green (autrice, insegnante di Tai Chi e Qi Gong, appassionata di studi orientali, si è laureata in Economia e Diritto con una tesi incentrata sul miracolo economico giapponese del secondo dopoguerra) 

A occhi chiusi ascoltiamo la musica interiore (I parte)

A occhi chiusi ascoltiamo la musica interiore (I parte): partiamo per un viaggio alla ricerca delle emozioni della scrittura.

“L’arte della scrittura”, opera del III d. C. del poeta cinese Lu Ji, funzionario di corte, risulta un testo quanto mai attuale. Dopo averlo letto e interiorizzato, mi sono chiesta come mai la scrittura, da sempre considerata pratica sacra, valore da proteggere, in cui contenuti ed estetica dovrebbero unirsi al rigore e all’onestà intellettuale, sia stata vista invece, in certa letteratura odierna, come una pratica inutile a cui applicarsi, un mero passatempo in cui trastullarsi.

A occhi chiusi ascoltiamo la musica interiore (I parte) – La scrittura è pratica sacra, in cui contenuti ed estetica dovrebbero unirsi al rigore e all’onestà intellettuale.

Il mondo ha bisogno di riscoprire nella scrittura una guida anagogica, una maestra di vita e di necessità intellettuale e sì, anche fisica, carnale, capace di occupare lo spazio e il tempo senza limiti e barriere.

Lu Ji traccia una strada, una linea di pensiero che potrà sembrarci anacronistica e che potrebbe anche risultare estranea a una prima lettura, ma che ci permette di guardare oltre il tempo e noi stessi.

Dobbiamo riappropriarci di bellezza, contemplazione e azione, abbandonando banalità e cliché

Pensare che quelle parole, pronunciate nel III secolo d.C., siano talmente radicate in noi, può allarmarci, disorientarci, ma anche permetterci di riflettere sul come riappropriarci di tanta bellezza, contemplazione e azione, abbandonando banalità, cliché e ritrovando il desiderio, il piacere della scoperta, della curiosità, dell’emozione.

Sull’inizio:

       A occhi chiusi ascoltiamo

       la musica interiore,

       smarriti tra domande e pensieri.

      […]

     Mettiamo immagini e parole

     tra quelle non raccolte

    dalle generazioni precedenti. 

L’inizio, l’incipit, il principio. Quando inizi a raccogliere i pensieri per trasformarli in parole, è come quando cerchi i suoni, la tattilità di emozioni non raccontate prima. La scrittura è una eco profonda tra spiritualità e materialità, contatto con noi stessi e con la realtà che percepiamo. Musica interiore che si fa parola, risonanza di immagini che nella nostra mente si saziano di desideri e di profondità.

L’inizio è tutto. È il modo in cui mostriamo come vogliamo essere, cosa vogliamo mostrare di noi e del nostro sentire.

L’inizio riporta il tutto a una rete di simboli e valori.

È il pensiero racchiuso in una parola, attimo che si fa tempo indefinito e che riporta il tutto a una rete di simboli e di valori. L’inizio è ciò che ci distingue, è la soggettività, l’unicità, l’essenza stessa del percepire e del percepirci.

Sullo scegliere le parole:

    Il poeta fa luce nell’oscurità profonda, 

    che questo voglia dire rende facile il difficile,

    o difficile il facile

Scegli, seleziona, ragiona sulle parole da unire ad altre parole, in un incedere a volte leggero, a volte faticoso, come quando inizi un viaggio, sapendo che la strada che hai scelto ti porterà là dove hai deciso di andare o dove la scrittura decide di condurti.

La scrittura è spirito vivo e sostanza immateriale che fin quando rimane dentro di noi è immersa nel disordine rimbombante dei pensieri.

Ma quando è pronta a staccarsi, a uscire fuori e possiamo farne corpo vivo e suggestione, allora desideriamo di assaporarne ogni singola vibrazione, ogni più piccolo momento.

Ma quanto è difficile scegliere le parole giuste?

Quanto ci costa enumerare, arricchire, sfamare i nostri pensieri con parole a più alto valore nutritivo, per far germogliare i nostri sentimenti? Siamo davvero noi a decidere sempre quali espressioni scegliere per descrivere ciò che proviamo o è la scrittura che, come un fuoco ardente, semina scintille e accende tutto ciò su cui si posa?

  Continua… Leggi qui la seconda parte

 

 

di Mariaclara Menenti Savelli (Editore di Kressida, storica dell’Arte e critico letterario)

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