Universo remoto ed esopianeti: le avventure del JWSP

Universo remoto ed esopianeti: le avventure del JWSP. Continua il nostro viaggio nello spazio con questo secondo articolo dedicato al telescopio spaziale James Webb. Uno strumento che ha iniziato da pochi mesi a emozionarci, regalandoci immagini con una risoluzione mai vista prima. (leggi qui la prima parte, dedicata al telescopio Hubble)

L’ultima meraviglia proprio pochi giorni fa: un incredibile scatto di Nettuno, come non l’avevamo mai visto.

Nettuno ripreso dal telescopio James Webb
L’immagine di Nettuno inviata sulla Terra dal telescopio James Webb (Settembre 2022), in cui sono ben visibili anelli e satelliti. (Nasa/Esa/Csa/STSc)

L’avvento del James Webb Space Telescope: dove inizia l’avventura

Il James Webb Space Telescope (JWST) è stato lanciato il 25 dicembre 2021. Nato da una collaborazione tra NASA, ESA e CSA (agenzia spaziale canadese), è stato intitolato a James Webb, funzionario amministrativo NASA all’epoca della missione Apollo.

James Webb. Fonte: NYT

Come l’Hubble Space Telescope (HST) è un telescopio riflettore  costituito da un mosaico di specchi esagonali, con un diametro complessivo di 6,5 metri. Un’apertura, quindi, circa 10 volte superiore a quella dell’Hubble.

L’immagine dà un’idea delle dimensioni relative degli specchi dell’HST e del JWST, confrontati anche con le tipiche dimensioni umane. Fonte: rielaborazione BBC dei dati NASA.

Il JWSP opera soprattutto nella banda infrarossa (IR), ma non in quella UV, motivo per cui le osservazioni dell’HST in quella banda sono ancora utili.

Dotato di una strumentazione altamente sofisticata, è stato posto in orbita attorno al Sole a una distanza di 1,5 milioni di chilometri dalla Terra, nel secondo punto lagrangiano, L2, lungo la linea congiungente Sole e Terra, dalla parte opposta al Sole.

I punti lagrangiani sono punti particolari, previsti dalla “teoria dei tre corpi”: un oggetto di piccola massa, quasi trascurabile, rispetto agli altri due (in questo caso Sole e Terra), che va a posizionarsi su uno dei punti lagrangiani, si mantiene praticamente fisso rispetto ai corpi principali. Con questa disposizione, il JWST si trova protetto dalla luce e dal calore del Sole  e il suo campo visivo non è ostacolato dalla Luna, in modo da poter lavorare con continuità, diversamente dall’HST, più limitato nella sua attività dall’orbita bassa.

La scelta di lavorare nella banda IR è dettata dalla necessità di studiare regioni del cielo (ad esempio zone di formazione stellare) rese invisibili dalle nubi di gas e polveri, che invece la radiazione infrarossa è capace di “bucare”.

Anche per il James Webb Space Telescope uno dei campi d’azione principali sarà lo studio dei pianeti extrasolari.

Verranno accuratamente analizzati per capire se sussistano condizioni adatte alla presenza e allo sviluppo di forme di vita, sia pure agli stati più elementari.

Universo remoto ed esopianeti: le avventure del JWSP. A inizio Settembre 2022, per la prima volta, gli astronomi hanno utilizzato il telescopio spaziale James Webb per acquisire un’immagine diretta di un esopianeta. L’immagine, vista attraverso quattro diversi filtri di luce, indica  la strada per osservazioni future che riveleranno più informazioni sugli esopianeti. Fonte: ESA

Naturalmente, come l’HST, anche il telescopio Webb si occuperà dell’universo remoto.

Le sue immagini e le sue analisi forniranno dati per studiare fenomeni, come Supernovae, Lenti Gravitazionali, eventi ad alta energia, per affinare la conoscenza di quei parametri necessari a scrivere il futuro dell’universo e conoscere meglio il suo passato.

Sarà approfondito lo studio della distribuzione e dell’astrofisica che governava le galassie primordiali, con lo scopo di migliorare i risultati ricavati dai dati forniti da Hubble.

Inoltre, strumenti più sensibili  potrebbero scoprire un universo ancora più antico, e cercare le tracce dell’esplosione di stelle massicce di prima generazione, che avrebbero riscaldato un universo che andava raffreddandosi. Dopo la separazione tra materia e radiazione, protoni e neutroni iniziarono a unirsi, formando nuclei di idrogeno, deuterio ed elio e quindi gli atomi più leggeri.

Un progetto ambizioso, che richiederà anni di analisi di dati e immagini, così come è avvenuto per l’Hubble Space Telescope.

Già le prime immagini inviate, oltre ad essere altamente spettacolari, mostrano la maggior risoluzione rispetto a quelle dell’HST.

Eloquente è quella relativa a Giove e ai suoi dintorni che ci mostra, con una chiarezza mai vista prima,  l’anello che lo circonda; così come quelle della Nebulosa di Orione e della Nebulosa Tarantola nella Grande Nube di Magellano, una piccola galassia satellite della nostra.

Primi “gioielli dal telescopio spaziale Webb. Giove nell’infrarosso, con l’anello.

 

Primi “gioielli dal telescopio spaziale Webb. La Nebulosa Tarantola nella Grande Nube di Magellano.

Se queste sono le premesse, il JWST, promette importanti risultati. Probabilmente conferme, sicuramente altri grandi passi avanti nella conoscenza del cosmo, sia quello a noi più vicino che quello remoto, per comprendere meglio l’evoluzione e il futuro dell’universo.

di Franco Leone

Hubble: Trent’anni di immagini dal cielo

Hubble: Trent’anni di immagini dal cielo, è il primo di due articoli che pongono a confronto la tecnologia, i risultati e le ricerche dei telescopi spaziali. Questo primo approfondimento è dedicato al telescopio spaziale Hubble, che da oltre 30 anni invia dati e testimonianze fotografiche sorprendenti sul nostro universo.

La galassia Ruota di Carro, ripresa dal potente sguardo del telescopio James Webb. Formatasi a seguito di una collisione ad alta velocità avvenuta oltre 400 milioni di anni fa, è composta da due anelli che si espandono verso l’esterno dal centro della collisione, come onde d’urto. Fonte: ESA.

Il 30 aprile del 1990 veniva posto in orbita il telescopio spaziale Hubble (HST). Lo strumento prese il nome dall’astronomo statunitense Edwin Hubble, il primo a mostrare che l’universo è in espansione, grazie alla scoperta della legge che porta il suo nome.

L’astronomo Edwin Hubble.

L’HST ruota su un’orbita terrestre bassa (cioè a distanza relativamente piccola dalla Terra, circa 540 km) leggermente ellittica.

È un telescopio riflettore: l’obiettivo è uno specchio di 2,4 metri di diametro, decisamente più piccolo dei più grandi telescopi a terra, ma senza i limiti osservativi imposti dalla presenza dell’atmosfera. Progetto e realizzazione sono stati curati dalla NASA, con la collaborazione dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA).

Un telescopio miope

Dopo le prime foto inviate, gli scienziati si accorsero che il telescopio era “miope”, cioè non riusciva a mettere bene a fuoco le immagini, anche se queste erano comunque migliori di quelle dei più potenti telescopi terrestri dell’epoca.

Corretto il difetto ottico, l’HST ha iniziato a inviare immagini con risultati al di là delle più rosee previsioni, grazie anche alla possibilità di lavorare, oltre che nella banda del visibile, anche in quella infrarossa (IR) e ultravioletta (UV).

Hubble è stato il primo grande telescopio spaziale dedicato all’astronomia in grado di lavorare nel visibile, nell’infrarosso e nell’ultravioletto. Fonte:ESA.

Tante affascinanti imprese: il mondo di Hubble

Molte, e di notevole importanza, le scoperte e i risultati dovuti all’attività dell’Hubble Space Telescope. Ricordiamo i più significativi in una breve rassegna che copre tutte le regioni del cosmo, dai nostri dintorni fin quasi ai confini dell’universo osservabile.

I frammenti della cometa Shoemaker-Levy 9, ripresi dal’Hubble Space Telescope. Fonte: NASA/ESA

Una delle immagini più spettacolari (e inquietanti, se si pensa a ciò che sarebbe potuto accadere se la collisione fosse avvenuta sulla Terra) è stata senza dubbio quella dell’impatto, avvenuto nel 1994, dei frammenti della cometa Shoemaker-Levy 9 con Giove.

Le conseguenze degli impatti su Giove, in un’immagine nella banda UV. Fonte: NASA/ESA

E sempre riguardo a Giove, la scoperta di un possibile oceano sotterraneo sotto la superficie di Ganimede, uno dei suoi satelliti galileiani.

Le immagini del telescopio spaziale Hubble delle cinture aurorali di Ganimede (colorate in blu in questa illustrazione) sono sovrapposte a un’immagine della luna orbitante Galileo. L’oscillazione del campo magnetico lunare suggerisce che la luna abbia un oceano di acqua salata nel sottosuolo. Fonte: NASA/ESA

Restando nel sistema solare, l’HST ha contribuito alla scoperta e allo studio delle aurore polari di Saturno. Ha inoltre contribuito alla ricerca di pianeti nani, scoprendo e fotografando quattro piccoli satelliti di Plutone, di cui si conosceva come unico satellite Caronte, fornendo immagini inferiori come qualità solo a quelle della recente missione New Horizons, che però ha sorvolato Plutone da molto vicino.

Uno studio approfondito della Nebulosa di Orione, una densa nube interstellare nella costellazione omonima, sede di intensa formazione di stelle, ha portato a identificare dischi protoplanetari intorno a diverse stelle immerse al suo interno.

La Nebulosa di Orione (1.500 anni luce di distanza dalla Terra) è un libro illustrato sulla formazione stellare e questa immagine (in realtà frutto del lavoro degli scienziati su oltre 520 immagini fornite da Hubble) è come “una sbirciatina all’interno di una caverna di polvere e gas turbolenti, dove migliaia di stelle sono in formazione.” Vi compaiono oltre 3.000 stelle di varie dimensioni. Fonte: NASA/ESA

All’HST è dovuta anche la prima identificazione di molecole nell’atmosfera di pianeti extrasolari.

Da segnalare il determinante impulso dato allo studio di stelle, sia nelle fasi della nascita che in quelle dei loro ultimi stadi evolutivi, la scoperta e la conferma dell’esistenza di buchi neri di origine stellare (quelli che si originano dopo l’esplosione, come supernovae di stelle massicce) e dei buchi neri supermassicci al centro delle galassie, ma ancora più importante, la scoperta di buchi neri di massa intermedia tra questi.

Un enorme contributo per conoscere l’evoluzione dell’universo è arrivato dalle immagini note come Hubble Deep Field (campo profondo di Hubble) e Hubble Ultra Deep Field (campo ultraprofondo di Hubble), in cui l’HST ha immortalato migliaia di galassie, la cui luce è stata inviata fino a più di 10 miliardi di anni fa.

Ciò che ci mostrano è l’universo di uno o due miliardi di anni dopo il Big Bang.

Non solo, in queste immagini si possono individuare galassie che non sarebbero visibili (perché nascoste da altre galassie o ammassi di galassie interposti lungo la linea di vista) se non fosse per l’effetto di lente gravitazionale, previsto dalla relatività generale, per cui la loro luce, deflessa dagli oggetti interposti, ne mostra immagini multiple o deformate, facilmente riconoscibili. Questo permette di stimare anche la quantità di materia presente, in particolare la fantomatica materia oscura, di cui si possono osservare gli effetti gravitazionali, ma della quale non è ancora nota l’origine.

Hubble Deep Field. Fonte: NASA/ESA

 

L’Hubble Ultra Deep Field. Oltre 10.000 galassie di età, dimensioni, forme e colori diversi. Fonte: NASA/ESA

Le due famose immagini dell’Hubble Deep Field e Hubble Ultra Deep Field hanno mostrato il volto di un giovane universo.

Quella che a mio modo di vedere è la scoperta più eclatante (sconcertante, per certi versi, visto che riguarda direttamente il futuro dell’universo) donataci dall’HST, è quella riguardante l’espansione dell’universo che, da qualche miliardo di anni, ha ripreso ad accelerare, mentre sembrava che dovesse rallentare, se non fermarsi e trasformarsi in decelerazione a causa del prevalere della gravità.

Analizzando i dati che il telescopio spaziale ha inviato su distanza e luminosità di un particolare tipo di Supernovae, due gruppi di ricerca hanno potuto stabilire che l’espansione dell’universo sta accelerando.

I fisici hanno interpretato questo dato con la presenza di una forma di energia che si oppone alla gravità e che al momento sta prevalendo su di essa, facendo aumentare il tasso di espansione dell’universo. A questa energia, misteriosa, ma non troppo, è stato assegnato il suggestivo e significativo nome di “energia oscura”.

I risultati qui descritti, e i molti altri raggiunti, hanno fatto sì che il “pensionamento” dell’Hubble Space Telescope, già previsto, venisse prorogato, nonostante l’inizio dell’era del James Webb Space Telescope (JWST).

[…continua]

 

di Franco Leone