Un “futurare” completo e ossessivo. Nell’inverno del 1930 l’Aeropoeta Futurista Filippo Tommaso Marinetti pronuncia un “gastro-guerresco” discorso dopo un pranzo presso il Ristorante PENNA D’OCA di Milano.
Discorso, proclama o dichiarazione d’intento futurista, secondo quel dualismo programmatico teorizzato nei Manifesti degli anni Dieci e Venti del Novecento.
Ed è ancora una parola-chiave verso quei modelli d’azione espressiva che, a trent’anni dal primo colpo “sparato” dal Figaro il 20 febbraio 1909, esplodono in un nuovo fronte d’avanguardia, in nuovi modelli formativi, per il superamento della dimensione reale ed esistenziale, attraverso le sfide lanciate durante gli aerobanchetti “suggestivi e determinanti”.
Un manifesto di poetica feconda, disseminata di artefizi smisurati e di sintonia amicale, quella che porta Marinetti, il 28 dicembre 1930, a pubblicare sulla Gazzetta del Popolo di Torino il “Manifesto della cucina futurista”.
“Vi annuncio il prossimo lanciamento della cucina futurista per il rinnovamento totale del sistema alimentare italiano. […] La cucina futurista sarà liberata dalla vecchia ossessione del volume e del peso e avrà, per uno dei suoi principi, l’abolizione della pastasciutta”.
Due anni più tardi, in collaborazione con l’aeropittore Fillìa, presenta “La cucina futurista”, testo che utilizzando con spregiudicatezza i codici e i riferimenti della “trama alimentare”, fino al punto di parodiarli e rovesciarli, riporta il significativo sottotitolo “Un pranzo che evitò un suicidio”.

È il testo della “prima cucina umana”, dell’ottimismo a tavola, tra controretorica e innovazione, tra giochi culinari che rappresentano vere e proprie rivendicazioni culturali-estetiche e il culto della velocità.
La teorizzazione del “nuovo ordine a tavola” si apre con un “tragicomico poetico antefatto” infarcito di intrepidezza e gastro-sessualità: il salvataggio di un amico in pericolo, in un dannunziano abbandono dei sensi alla ricerca “dell’eterno femminino fuggente imprigionato nello stomaco”.
Il 1 maggio del 1930 Marinetti parte per il Lago Trasimeno dopo un preoccupante annuncio di morte da parte del suo amico Giulio Onesti che, dopo la tragica perdita della donna amata e l’arrivo di “quella che le rassomiglia troppo ma non abbastanza”, ancora avvezzo a nutrimenti passatisti e a borghese fedeltà, “si prepara al suicidio”.
Insieme a Marinetti, alla ricerca di una soluzione a questo delicato problema, Enrico Trampolini e Fillìa, i due “geniali aeropittori”.
Evitare un suicidio si può, improvvisando arte in cucina, trasformandola in una fucina di idee e ideazioni con pentole enormi come piedistalli, quantità indeterminate di polveri colorate tramutate in montagne, cambiando forma e consistenza alle cose per un “aerocomplesso plastico di farina di castagne, uova, latte e cacao”.
La cucina diviene luogo dell’improvvisazione e della sorpresa, una sottile forma di irriverenza verso la tradizione e il passatismo, in cui il rifiuto per l’elaborato-ricetta si esprime nella manipolazione del cibo e dei materiali, nell’accettazione di “sorprese” organolettiche, nella determinazione di momenti “stimogastrici” in cui il cibo si mastica con la vista e si digerisce con l’olfatto.
Ed ecco apparire Lei, il “misterioso soave tremendo complesso plastico di lei. Mangiabile”.
Sogno di una femminilità finalmente (e solo così) afferrabile nelle geometriche forme e lasciva a zuccherine carezze. Forme sinuose e colori abbaglianti, massa dinamica di zucchero filato che si fonde con la pasta frolla ancora morbida e friabile.
Un fluttuare di mani ispirate e di sensi eccitati, e poi nel forno “la passione delle bionde” che si colora di sole, dando risalto a bocca e ventre.
Nasce poi la “snella velocità”, lunga fune di pasta frolla e la “leggerezza di volo” con 29 caviglie di donna modellate con pasta lievitata e poggiate fra “mozzi di ruote e d’ali d’eliche”.
L’inquietudine e il turbamento scombinano “la serenità” futurista dei cervelli a lavoro.
Così al tramonto è uno schioccare di lingue, fremiti di narici, connessioni nervose fra sensi. Il capolavoro è davanti ai loro occhi, dotato di curve molli e di nascosti segreti dolcemente zuccherosi.
Scultura plastica meccanica. Perfetta. A mezzanotte si attende il padrone di casa per il primo succulento assaggio dei “22 complessi plastici mangiabili”.
L’arte “mangiabile” suscita sapori nuovi, golosità ancestrali mai sopite, respiri infarciti di sentimenti erotici. Sensualità carnale e ossessivo disfacimento sono le strategie comunicative e di nutrimento, per anime “eversive” in formazione. È così che si cerca di creare e demolire.

È così che si modellano strutture ardite e audaci mentre si rompono regole e declinazioni di forme e tutto per una nuova rivoluzione estetica e sensoriale, per una moderna cucina antipopolare.
Nella brezza notturna e nell’oscurità le immagini si fanno più fioche e le voci più sommesse fino a scomparire. Solo Giulio è sveglio, vogliosamente sveglio. Certo che nessuno possa disturbarlo, si inginocchia davanti all’alto complesso plastico e divora, morde, “assalta” le parti di più morbide e soffici, schiacciando fra i denti il palmeto zuccherino del suo ventre e il “soave piedino pattinatore di nuvole”.
Senza fine, “godente e goduto. Possessore e posseduto. Unico e totale.”
Così si chiude il sogno ideale di un marziale e dinamico Marinetti che nelle pagine successive darà voce alla sua battaglia contro il cibo passatista e l’amidacea pastasciutta, aprendo il dibattito sulla innovativa cucina futurista, per rinate fantasie culinarie e stimolanti suggerimenti in banchetti futuristi assoluti. Sbalordire per irridere la cultura borghese. E se l’uomo è ciò che mangia, la cucina futurista vuole un uomo nuovo, modernissimo, meccanizzato, pioniere di nuovi territori organolettici e domini gastrico-sensuali: “Mani ispirate. [E] Nari aperte per dirigere l’unghia e il dente”.
Per un “futurare” completo e ossessivo, in cui anche il cibo diventa guerra, desiderio di gastro-scontro tattile-labiale, perché tutto sia “rinnovato” nella distruzione, per un’azione totalizzante di folle controllo che investirà anche il galateo a tavola.
di Mariaclara Menenti Savelli (Editore di Kressida, storico dell’Arte e Critico Letterario).
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