Hubble: Trent’anni di immagini dal cielo, è il primo di due articoli che pongono a confronto la tecnologia, i risultati e le ricerche dei telescopi spaziali. Questo primo approfondimento è dedicato al telescopio spaziale Hubble, che da oltre 30 anni invia dati e testimonianze fotografiche sorprendenti sul nostro universo.

Il 30 aprile del 1990 veniva posto in orbita il telescopio spaziale Hubble (HST). Lo strumento prese il nome dall’astronomo statunitense Edwin Hubble, il primo a mostrare che l’universo è in espansione, grazie alla scoperta della legge che porta il suo nome.

L’HST ruota su un’orbita terrestre bassa (cioè a distanza relativamente piccola dalla Terra, circa 540 km) leggermente ellittica.
È un telescopio riflettore: l’obiettivo è uno specchio di 2,4 metri di diametro, decisamente più piccolo dei più grandi telescopi a terra, ma senza i limiti osservativi imposti dalla presenza dell’atmosfera. Progetto e realizzazione sono stati curati dalla NASA, con la collaborazione dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA).
Un telescopio miope
Dopo le prime foto inviate, gli scienziati si accorsero che il telescopio era “miope”, cioè non riusciva a mettere bene a fuoco le immagini, anche se queste erano comunque migliori di quelle dei più potenti telescopi terrestri dell’epoca.
Corretto il difetto ottico, l’HST ha iniziato a inviare immagini con risultati al di là delle più rosee previsioni, grazie anche alla possibilità di lavorare, oltre che nella banda del visibile, anche in quella infrarossa (IR) e ultravioletta (UV).

Tante affascinanti imprese: il mondo di Hubble
Molte, e di notevole importanza, le scoperte e i risultati dovuti all’attività dell’Hubble Space Telescope. Ricordiamo i più significativi in una breve rassegna che copre tutte le regioni del cosmo, dai nostri dintorni fin quasi ai confini dell’universo osservabile.

Una delle immagini più spettacolari (e inquietanti, se si pensa a ciò che sarebbe potuto accadere se la collisione fosse avvenuta sulla Terra) è stata senza dubbio quella dell’impatto, avvenuto nel 1994, dei frammenti della cometa Shoemaker-Levy 9 con Giove.

E sempre riguardo a Giove, la scoperta di un possibile oceano sotterraneo sotto la superficie di Ganimede, uno dei suoi satelliti galileiani.

Restando nel sistema solare, l’HST ha contribuito alla scoperta e allo studio delle aurore polari di Saturno. Ha inoltre contribuito alla ricerca di pianeti nani, scoprendo e fotografando quattro piccoli satelliti di Plutone, di cui si conosceva come unico satellite Caronte, fornendo immagini inferiori come qualità solo a quelle della recente missione New Horizons, che però ha sorvolato Plutone da molto vicino.
Uno studio approfondito della Nebulosa di Orione, una densa nube interstellare nella costellazione omonima, sede di intensa formazione di stelle, ha portato a identificare dischi protoplanetari intorno a diverse stelle immerse al suo interno.

All’HST è dovuta anche la prima identificazione di molecole nell’atmosfera di pianeti extrasolari.
Da segnalare il determinante impulso dato allo studio di stelle, sia nelle fasi della nascita che in quelle dei loro ultimi stadi evolutivi, la scoperta e la conferma dell’esistenza di buchi neri di origine stellare (quelli che si originano dopo l’esplosione, come supernovae di stelle massicce) e dei buchi neri supermassicci al centro delle galassie, ma ancora più importante, la scoperta di buchi neri di massa intermedia tra questi.
Un enorme contributo per conoscere l’evoluzione dell’universo è arrivato dalle immagini note come Hubble Deep Field (campo profondo di Hubble) e Hubble Ultra Deep Field (campo ultraprofondo di Hubble), in cui l’HST ha immortalato migliaia di galassie, la cui luce è stata inviata fino a più di 10 miliardi di anni fa.
Ciò che ci mostrano è l’universo di uno o due miliardi di anni dopo il Big Bang.
Non solo, in queste immagini si possono individuare galassie che non sarebbero visibili (perché nascoste da altre galassie o ammassi di galassie interposti lungo la linea di vista) se non fosse per l’effetto di lente gravitazionale, previsto dalla relatività generale, per cui la loro luce, deflessa dagli oggetti interposti, ne mostra immagini multiple o deformate, facilmente riconoscibili. Questo permette di stimare anche la quantità di materia presente, in particolare la fantomatica materia oscura, di cui si possono osservare gli effetti gravitazionali, ma della quale non è ancora nota l’origine.


Le due famose immagini dell’Hubble Deep Field e Hubble Ultra Deep Field hanno mostrato il volto di un giovane universo.
Quella che a mio modo di vedere è la scoperta più eclatante (sconcertante, per certi versi, visto che riguarda direttamente il futuro dell’universo) donataci dall’HST, è quella riguardante l’espansione dell’universo che, da qualche miliardo di anni, ha ripreso ad accelerare, mentre sembrava che dovesse rallentare, se non fermarsi e trasformarsi in decelerazione a causa del prevalere della gravità.
Analizzando i dati che il telescopio spaziale ha inviato su distanza e luminosità di un particolare tipo di Supernovae, due gruppi di ricerca hanno potuto stabilire che l’espansione dell’universo sta accelerando.
I fisici hanno interpretato questo dato con la presenza di una forma di energia che si oppone alla gravità e che al momento sta prevalendo su di essa, facendo aumentare il tasso di espansione dell’universo. A questa energia, misteriosa, ma non troppo, è stato assegnato il suggestivo e significativo nome di “energia oscura”.
I risultati qui descritti, e i molti altri raggiunti, hanno fatto sì che il “pensionamento” dell’Hubble Space Telescope, già previsto, venisse prorogato, nonostante l’inizio dell’era del James Webb Space Telescope (JWST).
[…continua]
di Franco Leone