L’espressione del mio essere. Essenza e diversità

Sono una donna con disabilità e vivere senza perdere l’entusiasmo, non è facile. La nostra società è improntata più sull’apparire che sull’essere. Quindi, converrete con me, che essere una donna su ruote è estenuante.

Ogni giorno devo trovare la forza di far ascoltare la mia voce. E di renderla valida, perché ogni volta che interagisco con gli altri devo dimostrare di poter essere degna di stare al mondo e di possedere una mia facoltà di pensiero. Questo processo molte volte mi è reso possibile grazie ai social: scrivo tanto, scrivo molto, e quello schermo protegge sia me dall’invadenza della gente (che si sente legittimata, pur non conoscendomi, ad accarezzarmi come se fossi un cagnolino) sia loro da quella frustrazione, da tutta la rabbia, il dolore, la mancanza e i compromessi che ogni giorno caratterizzano la mia vita.

Spesso mi dicono che sono una persona determinata e forte. E io rispondo che lo sono perché non ho altra scelta.

Non perché io sia una wonder woman, anzi faccio mediamente schifo, come tutti. Però, vivere per me significa essere responsabile del mio miglioramento, giorno dopo giorno. Lotto sempre con persone che mi dicono come essere donna e come vivere la mia vita. Adulta sì, ma mai abbastanza. Donna sì, ma mai abbastanza.

Il “sembri quasi una normodotata” mi accompagna da una vita. Chi lo dice pensa di farmi un complimento. Ma è tutto fuorché un complimento. È un modo indiretto per dirmi: “Non so come definirti, non so comprendere la tua diversità, non so accettare che l’essere umano è polisemico, che può racchiudere diverse qualità, senza categorizzarsi e definirsi indefinitamente. Io, ad esempio, definisco solo ciò che oggettivamente non posso cambiare ma solo accettare.

Non solo sono una donna, non solo una persona con disabilità. Sono entrambe le cose, più tante altre qualità.

Per una vita intera ho dato l’opportunità agli altri di definirmi. Con le loro osservazioni, aggettivi, consigli non richiesti. Ora, non più. O almeno, ci sto provando.  Sto imparando a fare i conti con la solitudine e con l’inquietudine, tipica di chi sceglie di vivere la vita seguendo i propri valori, anche se questo significa non conformarsi alla società.

Io, nella vita voglio darmi la possibilità di evolvere, cambiare. Con uno sguardo accogliente, diventare me stessa ed essere qualcuno per le persone che stimo.

L’espressione del mio essere è condizionata dal contesto in cui sono. Vi sembrerà a tratti scontato, ma vivere in una città piuttosto che un’altra, fa la differenza. I luoghi, i servizi, l’educazione civica, le persone con cui interagisco durante la giornata, influenzano in maniera esponenziale ciò che sono. Vivere in un luogo dove puoi esprimere te stessa, a tutto tondo, è indispensabile per accettarsi e per crescere. Dal poter uscire di casa, andare in università, viaggiare, lavarsi, vestirsi, sono tutte azioni che per me non sono automatiche, ma sono frutto di esercizio e di collaborazione con gli altri.

Molte azioni che faccio per manifestare me stessa nel mondo sono possibili perché chiedo aiuto, perché pago, perché ci sono servizi sul territorio che aiutano a preservare la mia libertà.

Da piccola mi sono fatta una promessa. Mi sono promessa di diventare una donna libera e indipendente.

Una promessa molto difficile da mantenere visto che il mondo è fatto per persone normotipiche e tutto ciò che sono riuscita ad ottenere l’ho ottenuto solo perché ho compreso che nella vita nulla è scontato: dal mangiare autonomamente, al poter camminare sulla sabbia, godersi il sole, uscire di casa, tutte azioni frutto di interazioni con gli altri e fisioterapia perenne. Sul mio corpo, mi sono tatuata questa frase: “Senza più limiti” e invece di limiti ne ho tanti e sono loro a rendermi autentica, a insegnarmi che non sono speciale, che questa sono semplicemente io.

Essere se stessi è una virtù di pochi, essere se stessi significa essere consapevoli che il futuro deriva solo da questo e che per vivere la vita che vuoi, devi fare tanti sacrifici. E non hai minimamente tempo di dire agli altri come vivere la propria vita. Perché sei troppo impegnata a pensare alla tua.

Avere una disabilità ti insegna a chiedere aiuto, ti insegna a mostrarti fragile, non perché lo vuoi ma perché non hai altra scelta. Ti insegna cosa vuol dire la mancanza, la perdita, con la successiva rielaborazione forzata di quella voglia di vivere irrefrenabile (che mi contraddistingue).

Ho imparato cosa voglia dire la parola “umana”. Sono umana quando sbaglio, sono umana quando non sono performante, sono umana quando ho dei momenti di sconforto, sono umana quando sono stanca e voglio stare per conto mio.

Sono una donna di 24 anni e ho una disabilità. La spensieratezza dei miei vent’anni, non l’ho ancora sperimentata e forse non la sperimenterò mai, sono troppo impegnata a costruirmi la vita che vorrei. Vorrei poter socializzare con tutti a prescindere dai contesti, e vorrei essere considerata valida per poter intrattenere conversazioni con estranei, senza dimostrare di esserne degna.

Devo tener conto di tantissime cose: degli ambienti, perché se non sono accessibili, non possono esserci per me. Devo tener conto del fatto che non posso provare a fare esperienze come tutti gli altri, il mio sforzo è sempre maggiore, perché lo scoglio culturale è talmente grande che anche se sei bella, intelligente ed autonoma, se ne escono con la scusa: “non siamo pronti ad accettare la tua disabilità” come se io fossi solo questo e nient’altro. Non posso svegliarmi e decidere di partire all’istante, visto che devo prenotare tutto con molto anticipo. Posso decidere il giorno e l’ora ma devo sperare che in quel determinato momento ci sia solo io su quel treno, perché i posti disponibili per le persone con disabilità sono ridotti. Cercare una casa in affitto per me è una missione quasi impossibile, devo tener conto dell’accessibilità del luogo, dei servizi offerti, devo costruirmi una rete sociale ben solida, devo tener conto che devo avere dei soldi da parte per modificare la casa, per soddisfare le mie esigenze “speciali”.

Proprio per queste circostanze, per me è veramente difficile cambiare, nonostante nell’animo io sia una donna errante, vagabonda, emigrata, viaggiatrice e attrice girovaga. E di questo ne soffro molto ma al tempo stesso ho compreso e accettato, che ci sono cose nella vita che sono come devono essere. Ci sono cose per cui non possiamo fare nulla, se non focalizzare l’attenzione su quello che si può realmente fare, con quello che si ha a disposizione in quel preciso istante.

Insomma, la mia vita è una sorta di circo errante e proprio per questo ho imparato a essere un po’ comica, pagliaccia; ho imparato che l’ironia può salvarti la vita e che per uscirne non bisogna prenderla né poco né troppo sul serio.  Tanto non ne usciamo vivi, comunque.

Sono una donna istintiva, eccentrica, spontanea, creativa, emotiva, possessiva, malinconica. Voglio vivere la mia vita al meglio, non ho paura di esprimere ciò che provo anche se ci metto molto a comprenderlo e a definirlo. Parlo tanto, parlo molto ma tutte le cose che dico sono frutto di una riflessione ed elaborazione mentale.

Credo tantissimo nella valenza delle parole, perché so che hanno il potere di restarti dentro, belle o brutte che siano, e a prescindere da chi le pronuncia.  

Al giorno d’oggi, si vive il mondo alla massima velocità e veloci sono anche le parole, le relazioni, i sentimenti che viviamo. Il mio modo di essere influisce anche su questo. Non sono mai stata una persona veloce, infatti nella mia vita ho solo legami profondi.  Si possono contare sulle dita di una mano. Ma queste persone sono affascinanti, piene di conoscenza e riflessioni interessanti, aperte. Hanno sperimentato a loro volta il dolore e quindi non giudicano.

Sono persone consapevoli dei loro limiti.  Non credono di essere migliori di altri, non sono mai vincenti ma sempre diversi da tutti. Alcuni per scelta, altri, perché non ne hanno avuta.

I miei amici per me sono il sale della vita, sono coloro che mi hanno insegnato cos’è la tenerezza, la dolcezza, l’esserci, l’amore, la protezione, l’accettazione. Sono accoglienza, ironia e bellezza. Ho imparato ad amarmi proprio grazie al loro amorevole sguardo, che mi ha permesso di mostrarmi alcuni aspetti di me che non sapevo neanche di avere.  Sono persone importanti  e  li porto dentro ovunque vada, perché mi hanno amato sempre, anche e soprattutto quando ero” invisibile”, credendo in me prima che lo facessi io.

Parte integrante di me sono anche tutti i bambini che incrocio ogni giorno, anche per un solo secondo. Io sono un’educatrice, sto studiando per diventarlo. Sento il dovere di amarli incondizionatamente, dedicare tutta me stessa a loro, giocarci, passare del tempo con loro in maniera autentica, lasciandoli liberi di esplorare e sperimentare la vita, con l’eventualità di farsi anche male.

Non sono io che educo loro ma sono loro che educano me. Mi insegnano cosa voglia dire vivere la vita con spontaneità, leggerezza e semplicità, tutte caratteristiche che per sopravvivere ho accantonato ma con loro ho vissuto di nuovo.

Diceva, K. Jaspers : “Rimane bambino chi è veramente uomo“. Ecco, per questo io amo insegnare ai bambini: per preservare la mia umanità.

Ci dicono che dobbiamo crescere, avere dei soldi ed essere realizzati professionalmente, ma nessuno ci insegna come diventare umani.