Giorgio Vasari: Le Vite narrate due volte di Mariaclara Menenti Savelli

Il Vasari è stato senza dubbio il primo grande biografo di tutti quegli artisti che hanno caratterizzato la Storia dell’arte dalle origini fino al 1567. Egli ci ha lasciato la prima grande opera di storiografia artistica moderna. Un testo ricco di dati, aneddoti, critiche, argomenti, cui hanno attinto, nei secoli successivi, studiosi, cronisti e curiosi.
Ma Giorgio Vasari fu anche il primo salottiero “chiacchierone” del Rinascimento, non risparmiando ai suoi rivali giudizi taglienti e spesso di natura meramente personale. Come ogni “buon” cronista che si pieghi alle logiche di potere, ha saputo esaltare, quasi divinizzandoli, pregi e imprese dei grandi potenti del tempo, denigrando e mettendo in luce i difetti fisici e le “mancanze” artistiche dei suoi rivali.
Vasari nasce ad Arezzo nel 1511 e muore a Firenze nel 1574.
Pubblica Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri nella prima edizione datata 1550 e poi nella versione rivisitata del 1568.
Questa riporta la dicitura “Scritte DA M. GIORGIO VASARI PITTORE ET ARCHITETTO ARETINO, Di Nuovo dal Medesimo Riviste Et Ampliate CON I RITRATTI LORO Et con l’aggiunta delle Vite de’ vivi, e de’ morti Dall’anno 1550 infino al 1567.”
L’opera prende spunto dagli schemi che Plutarco utilizzò nella sua opera Le vite parallele e, sicuramente, anche dal Museo di Polo Giovio e dalla sua famosa collezione d’arte.

Leggermente diverse anche le dediche della prima e seconda versione, malgrado il riferimento sia sempre a Cosimo de’ Medici:
Prima dedica: «ALLO ILLUSTRISSIMO ED ECCELLENTISSIMO SIGNORE IL SIGNOR COSIMO DE’ MEDICI DUCA DI FIORENZA SIGNORE MIO OSSERVANDISSIMO».
Seconda dedica: «ALLO ILLUSTRISSIMO ET ECCELLENTISSIMO SIGNOR COSIMO MEDICI DUCA DI FIORENZA E SIENA SIGNOR SUO OSSERVANDISSIMO».
Tra le due versioni delle Vite esistono evidenti differenze: mentre in quella del 1550 si narrano le biografie di artisti defunti, a eccezione di Michelangelo, nella versione riveduta e ampliata del 1568 si analizzano anche le biografie di artisti ancora in vita e se ne traccia un loro preciso ritratto: “usando diligenza grandissima, in ritrovare la patria, l’origine, e le azzioni degli artefici e con fatica grande ritrattole […] farne quella memoria che il mio debole ingegno et il poco giudizio potrà fare”.
Così il pittore dovrà impegnarsi nell’arte del ritratto “facendo le femmine con aria dolce e bella, e similmente i giovani; ma i vecchi gravi sempre d’aspetto, et i sacerdoti massimamente, e le persone di autorità […]”.

Umberto Eco ricorda che Vasari, insistendo sull’importanza del riprodurre la bellezza della realtà, parla di ex ungue leonem, cioè della coincidenza tra invenzione e imitazione.
Se ciò che si osserva viene riprodotto con precisione, ma anche tenendo conto del punto di vista dell’osservatore, la bellezza presente nel soggetto stesso viene sommata a quella contemplata dallo spettatore.
A questo si lega l’interpretazione data dal Vasari dell’iperrealismo illusionista che va oltre il ritratto dal vivo e che rappresenta fedelmente la realtà senza essere la realtà.
Vasari attribuisce al Verrocchio l’invenzione di modellare i volti in cera e lega questo all’idea di una particolare forma di controllo sul reale che sola può condurre alla perfezione.
I suoi giudizi, però, rimangono a segnare un’epoca. Quella della “Bella Maniera”. Per lui andava a indicare quel tratto caratteristico che rispecchiava lo stile alto, espresso da Leonardo, Raffaello e Michelangelo, come decisa da monsignor Paolo Giovio, quella dei ritratti “di Stato”.
Ritratti emblematici, opere d’arte assunte come documento storico, che devono conferire immortalità a colui che viene rappresentato. L’arte fissa il ricordo in eterno, non solo della mera effige, ma anche del prestigio sociale, dell’integrità morale, attraverso un ritorno alla oggettivizzazione della figura umana.

I suoi giudizi sono stati in grado di esaltare e valorizzare un artista. Come quelli che rivolge al pittore Correggio, la cui grandezza andava riconosciuta anche nella capacità di trasmettere emozioni e sentimenti. Insomma, di dare vita a immagini soavemente erotiche, attraverso quel “colorito molto alla carne simile, di dolce aria”. Orchestrando così le emozioni di chi guardava. Parlando di Leonardo, specifica che “dette veramente alle figure il moto et il fiato”.
Ma, al pari, Vasari è anche in grado di denigrare l’opera altrui. Parlando del suo più grande rivale, Baccio Bandinelli, lo definisce “molto villano di parole […] ché il dire sempre male e biasimare le cose d’altri era cagione che nessuno lo poteva patire”, e poi “litigava d’ogni cosa volentieri”.

Stessa sorte, giocata con maggiore sottigliezza di verbo ma non di intenti, viene riservata a Benvenuto Cellini. Vasari, pur riconoscendo la bontà dell’artista fiorentino, afferma che Cellini, malgrado voglia ricalcare le orme del grande maestro Michelangelo, pensa di “averne sempre studiato la maniera, senza essersene mai discostato”. Il raffronto tra i due è assolutamente impari e Vasari colloca il Cellini tra gli artisti “minori”.
E, a riprova dell’acredine tra i due, il modo in cui Cellini sembra aver apostrofato il biografo come “Cane di un Vasari! Bestiaccia, porco, bestia asinina”, durante le polemiche che seguono la commissione del progetto di un catafalco.
Giorgio Vasari rimane comunque uno dei più grandi biografi dell’arte ed egli stesso artista, pittore e architetto. Istituisce anche l’Accademia del Disegno formulando e divulgandone la teoria come qualità essenziale dell’arte.

Le Vite sono anche un percorso didattico per chi voglia intraprendere l’arte del disegno. Per chi “vuole bene imparare a esprimere disegnando i concetti dell’animo e qualsivoglia cosa”.
“Si eserciti in ritrarre figure di rilievo […] – consiglia – e cominci a ritrarre le cose che vengono dal naturale, che sono veramente quelle che fanno onore”.