Un vuoto ricco di significato. Esploriamo il concetto di vacuità (Śūnyatā) nel pensiero buddhista: un “non elemento” in cui trovare il Tutto e riscoprire la connessione con la natura.
Che cosa significa “vuoto”?
L’universo è privo di esistenza intrinseca. La prima volta che si ascolta o si legge questa frase, fondamentale nella logica buddhista, è difficile non restare colpiti dalla sua taglienza. Magari siamo incappati in essa per caso leggendo un libro di filosofie orientali, magari l’abbiamo incontrata durante un ritiro di meditazione. Ciò che è certo è che può averci lasciati sgomenti, confusi ma mai indifferenti. C’è qualcosa di netto e definitivo in questa affermazione che sembra rendere il mondo improvvisamente insignificante. Vuoto, appunto. L’orecchio (o l’occhio) occidentale non ci sta. La prima reazione è di ribellione: come può il mondo non avere esistenza… vuol dire che nulla ha senso? Abituata a speculazioni, divagazioni, costruzioni, divisioni, la nostra mente resta disorientata di fronte a tanta crudezza.
Possiamo, però, tirare un sospiro di sollievo: siamo vittime di un fraintendimento, di uno scoglio culturale che ci porta ad assegnare diversi significati alle parole, a inciampare nei nostri pregiudizi. Superate le esitazioni iniziali, questo è un viaggio che può regalarci grandi scoperte.
L’universo è privo di esistenza intrinseca. Questa frase racchiude una tra le più belle e amorevoli filosofie mai concepite dalla mente umana. Vacuità, infatti, non è vuoto. Perlomeno, non nel significato che riserviamo comunemente a questo termine in Occidente. Vacuità non è il vuoto che annichila o rabbuia e neppure il vuoto solitario e triste di una realtà in abbandono. Il vuoto buddhista è, invece, luminosa relazione. E come può una relazione essere vuota e per di più ricca di bellezza proprio in virtù di un’apparente assenza? Ci arriviamo subito. Abbiate solo la pazienza di seguirmi nel ragionamento. Ancora poche righe, per sbrigliare questo impiccio semantico.
Vuoto come relazione
Secondo la visione buddhista Mahayana, ogni elemento del mondo è legato a tutti gli altri attraverso meccanismi di causa-effetto e interdipendenza. Non è, dunque, possibile separare un essere umano – o qualsiasi altro oggetto, vivente o non vivente – dalla natura. La visione buddhista è, a tutti gli effetti, una visione ecologica. Ecologica non solo in senso filosofico, bensì nel senso più scientifico (e moderno) del termine. Una visione sistemica, direbbe il fisico austriaco Fritjof Capra, in cui la relazione è posta al centro. Essa è il fulcro dell’esistenza: io non esisto se non in virtù di uno scambio, continuo e inarrestabile, con tutto il resto.
Sono parte di un flusso dal quale non posso essere separato.
Esisto soltanto in quanto corrente, in quanto parte di qualcosa (sul quale, di conseguenza, mi ritrovo a interrogarmi). E dunque, esisto davvero?
L’interdipendenza: quali sono i confini tra noi e la natura di cui siamo parte?
Come individui, siamo abituati a identificarci con la nostra esperienza corporea. Noi siamo, in quanto possediamo un corpo e utilizziamo questo confine come barriera naturale tra noi e il resto del mondo. Ma davvero possiamo tracciare una linea netta? Gli studi sul microbioma e sul microbiota dell’ultimo decennio hanno dimostrato come la nostra salute e persino i nostri pensieri possano essere influenzati dai microorganismi che abitano il nostro intestino o proliferano sulla nostra pelle. La nostra sopravvivenza dipende inoltre da un gran numero di fattori “esterni”: acqua, aria, cibo. Gli elementi che compongono i nostri corpi sono stati forgiati da esplosioni in nuclei stellari e all’universo tornano costantemente, ogni volta che le nostre cellule si rinnovano e, infine, quando abbandoniamo questo mondo.
Nella visione buddhista, questo basta a smantellare ogni concetto di ego. In questo senso, tutti gli oggetti del mondo sono privi di esistenza intrinseca, ovvero fine a se stessa, separata.
Il cambiamento è l’unica costante
Su questa impalcatura si inserisce inoltre una valutazione sulla pervasività del cambiamento nel mondo. Ogni cosa, compreso il nostro corpo, è in mutamento continuo. Dove c’è cambiamento non è possibile “fotografare” alcun oggetto per definirlo: tu, lettore, sei già qualcosa di diverso da ciò che eri qualche istante fa. Nel momento in cui leggerai questo articolo, anche io sarò mutata rispetto al momento in cui le mie dita battevano sulla tastiera. Potrei, persino, non esistere più in questa forma. E così ogni cosa intorno a noi. L’universo buddhista è un regno in continua evoluzione, in cui niente esiste, se non come corrente di un flusso. Una visione che rispecchia le ricerche più recenti nel campo della fisica quantistica: a identificarci è la relazione, le connessioni che ci legano a tutto il resto… niente altro.
Vuoto ricco di significato
Come può la mancanza di esistenza intrinseca, di ego, di Io, cambiare le nostre vite? Come può essere ricca di significato?
Abbandonare gli egoismi è un precetto fondamentale insegnato dal buddha storico, Siddhartha Gautama, vissuto fra il VI e il V secolo prima di Cristo. Nella visione ecologica moderna è fondamentale riconoscere che noi siamo natura e non solo sforzarci di creare una relazione sana con essa.
Il vuoto buddhista è ricco di significato in quanto è un vuoto/pieno: di intrecci, connessioni, interdipendenze, scambi.
Non c’è assenza in tutto questo, anzi, è un vuoto piuttosto affollato! Ci serve a realizzare di essere parte del tutto. Come posso, infatti, attivarmi a difesa dell’ambiente se non riconosco che non esiste separazione tra me e il pianeta? Se lo chiedeva anche Arne Naess, teorico dell’ecologia profonda, alla fine degli anni ’70.

Ama la natura come te stesso
Meditare sulla vacuità ci permette di uscire da una visione duale, in cui ci siamo noi in opposizione al mondo e di entrare in una dimensione in cui la nostra esistenza è naturalmente votata alla generosità, all’altruismo, alla cura. Riconoscere le connessioni tra noi e il mondo comporta la realizzazione di quella che Naess definiva concezione profonda dell’attivismo: mi prendo cura del pianeta e rispetto l’ambiente perché è per me naturale, esattamente come lo è prendermi cura del mio corpo, nutrirmi se sono affamato, riposare se sono malato. Diffondo amore e gentilezza perché non concepisco separazione tra me e gli altri esseri umani, gli altri animali non umani, persino le piante, e poi le montagne, i fiumi, le foreste. Sviluppo empatia e compassione, poiché mi sento responsabile di ciò che accade intorno a me. Ciò che faccio alla natura, faccio a me stesso. Se danneggio la natura, sto ferendo me stesso.
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