• LETTERATURA • SCIENZE & NATURA 19 GIUGNO 2023
Gatti nei libri: Céline e Bébert
di Mariaclara Menenti Savelli
Dalla fuga rocambolesca verso la Danimarca alla prigionia, un felino come alter ego dello scrittore

Gatti nei libri: Céline e Bébert
Al suo Bébert, grosso e grasso gatto tigrato, lo scrittore Louis-Ferdinand Céline dedicò parole e pensieri profondi, sino a farne l’eroe di uno dei suoi ultimi romanzi, “Rigodon”, cronaca della sua fuga in treno da Parigi (poiché accusato di essere un sostenitore del governo collaborazionista di Vichy).
Durante il viaggio, attraverserà la Germania (ormai sconfitta) arrivando fino alla Danimarca, accompagnato dalla moglie Lili, mentre Bébert, inizialmente affidato a La Vigue, nome sotto cui celava l’attore cinematografico Robert Le Vigan, primo proprietario di Bébert (sempre che i gatti possano avere padroni!), li raggiungerà a metà del viaggio.
Una fuga rocambolesca negli ultimi mesi della Seconda Guerra mondiale, segnata dai bombardamenti e dall’invasione anglo-americana e raccontata da Céline con quella scrittura cruda, tagliente, a tratti provocatoria, che lo ha reso uno degli scrittori più difficili da amare e da comprendere.
Il bisogno di raccontare e l’inganno della narrazione vengono fusi in una logica insolente e ironica, come se tutto l’orrore che egli avverte e che lo circonda fosse solo materia di finzione, la sola capace di mutare le forme della realtà.
Ma Bébert è il suo eroe, il suo sguardo beffardo sul mondo, il suo modo di allontanarsi da una materialità che distrugge i suoi ideali e gli rinfaccia ogni giorno scelte ed errori di valutazione. Un personaggio magico Bébert, magico e misterioso, simbolo e araldo di una realtà che Céline vorrebbe penetrare, a cui vorrebbe accedere.
Bébert diventa così il suo alter ego: ha il suo caratteraccio, la sua indolenza, la sua “capacità” di sfidare il pensiero della morte o di restarne schiacciato.
Nella Trilogia del Nord, comprendente oltre a “Rigodon” anche “Da un castello all’altro” e “Nord”, Céline è sempre affiancato dal suo compagno felino.
“Si è in tre con Bébert, il resto vada al diavolo…”.
Nel suo Cahiers de prison, ormai in una lontananza forzata sia dall’amato gatto che dalla moglie Lili, Céline scrive a lei della sua condizione, dei suoi pensieri e di Bébert, come in un continuo colloquio allo specchio:
“Mia Lili carissima, sono tornato di nuovo in prigione come pensavo, ma ora sono tutto solo in cella e sto benissimo così. […] Parlo con me stesso, con te e con Bébert. Sono le brutalità che mi distruggono […] Sono sempre con te e con Bébert e vi parlo continuamente. Riesco ad astrarmi dalla realtà, come ben sai. E sono felice di saperti libera”.
E ancora nei momenti peggiori, in cui lo scrittore vorrebbe solo morire, è Bébert, in visita con la moglie, a salvarlo: “Quale felicità ho provato nel rivedere il mio Bèbert, con quel suo musetto da farfalla graziosa! Quanto lo amo! Bébert è così intelligente e gentile. Lui sì che capisce benissimo la situazione…”.
Bébert è la sua strada per una realtà oltre la morte, oltre la condizione umana, la prigionia continua, il dolore incessante e implacabile. E la visione frammentata di Céline appare ancora una volta scissa da una realtà che gli appartiene tanto dolorosamente da distaccarsene nel momento della scrittura. Nel suo bisogno di raccontare e nell’inganno stesso della narrazione, si fondono una logica fredda, spudorata e ironica e l’orrore stesso che la finzione porta con sé e che muta le forme della realtà, portando solitudine e disperazione. Ma Bébert è sempre lì, nell’orrore dei fatti, nei luoghi e nei personaggi più o meno immaginari, nella paura, “nell’odore della guerra che si prolunga negli effluvi dei villaggi carbonizzati, mal cotti, delle rivoluzioni abortive, delle imprese fallite… […] e io sprofondo nelle cianfrusaglie, nei ricordi e negli odori di catrame”, come nel suo” Voyage au bout de la nuit”.
Oltre l’ossessione del reale, nella sua poetica del disincanto, c’è Bébert con le sue invenzioni di gatto di strada, le sue sfide, i suoi rituali e i suoi occhi dolci e crudeli insieme. Bébert, la sua anima riflessa, il suo bisogno di serenità, di normalità, svincolato dai lacci della vita, capaci di procurare soltanto ustioni e dolore. La possibilità di amare senza troppe parole, senza doversi guardare troppo dentro. La piena libertà, il sé stesso finalmente compreso.