• ECOLOGIA • SCIENZE & NATURA 10 MARZO 2023
La foresta Pando, testimone della saggezza della Natura
di Marianna Rozzarin
È tra i più grandi organismi viventi sulla Terra. Ma la sua sopravvivenza è a rischio.

Lungo le rive del Fish Lake, nella National Forest dello Utah centrale, risiede uno dei più grandi organismi viventi sulla terra: la foresta Pando.
Sopravvissuta per più di 12.000 anni, rischia ora di scomparire per cause, finora, non pienamente identificate. Numerosi studiosi e operatori forestali sono alla ricerca di una soluzione per salvare questo inestimabile patrimonio del pianeta Terra.
Con un’estensione di 43 ettari, pari allo spazio occupato da circa 60 campi da calcio, composto da 47.000 diramazioni di pioppi tremuli, Pando si sviluppa grazie a un singolare e vasto apparato radicale contenente un unico DNA.

Pando nasce in una terra di ghiacciai, terremoti, vulcani e incendi. Un’area caratterizzata da un suolo frastagliato con enormi massi vulcanici, ghiaia e ciottoli, lungo una faglia attiva. Ed è proprio grazie a queste caratteristiche che le sue radici, nei secoli, hanno avuto modo di sviluppare un apparato estremamente esteso attraverso il quale riprodursi.
In quanto albero maschio, Pando produce solo polline e invia nuovi steli alle radici mettendo in atto un processo definito “pollone”: la clonazione di nuovi esemplari prende vita direttamente dall’apparato radicale. Queste sue peculiarità gli hanno permesso di sopravvivere migliaia di anni ristabilendo continui nuovi equilibri con l’intero ecosistema in cui si trova immerso, condivendolo con animali selvaggi, insetti, uccelli, roditori.

Un’ecosistema a rischio
Da circa 40 anni, Pando sta soffrendo. Molti dei suoi nuovi germogli non riescono a sopravvivere. Almeno tre malattie hanno intaccato la sua struttura: un parassita corticale che ne ha compromesso le cortecce, un agente patogeno che colpisce le parti fuori terra e causa disseccazioni e caduta delle foglie, e un’ulteriore infezione fungina che interessa le radici. Da quel momento, gruppi di studiosi e responsabili di servizi forestali hanno iniziato a vedere il degrado del clone (ovvero di quell’unico patrimonio genetico da cui ha avuto origine e che accomuna ogni singolo pioppo della foresta) e a monitorarne il cambiamento. Sono contemporaneamente state attuate misure di contenimento che lo proteggessero da un aumento fuori controllo di ungulati, quali cervi mulo e alci di montagna.
A differenza dei cervi, mammiferi nativi e quindi da sempre esistiti e cresciuti con Pando, gli alci di montagna sono stati introdotti dall’uomo per la caccia e l’allevamento. Hanno dimostrato di essere altamente adattabili, moltiplicandosi fuori controllo e impattando in modo significativo sull’equilibrio dell’ecosistema. Animali più grandi rispetto ad altre specie, riescono a superare con facilità le recinzioni costruite a tutela della foresta e a mangiare e mordere rami, cortecce, gemme e germogli ad altezze più elevate. Indebolendo, così, la pianta e creando solchi che facilitano l’insorgere di malattie o attirano altri insetti.
Per agevolarne l’osservazione, l’intera superficie è stata suddivisa in 65 aree di monitoraggio forestale, raggruppate in tre diversi regimi.
Una prima area è libera e aperta. Una seconda zona ha una semplice rete di protezione. L’ultima è munita di recinzione e sottoposta a trattamenti attivi quali bruciatura, abbattimento di arbusti e potatura.
I risultati non si sono dimostrati però sufficienti ad arginare il problema. Le recinzioni non hanno protetto la foresta, in quanto i grandi animali hanno trovato comunque il modo di penetrare le barriere e invadere il territorio. C’è stato un leggero incremento di rigenerazione dell’area sottoposta a trattamenti attivi, ma non tale da rallentare in maniera rassicurante il processo di decadenza di Pando.

Che cosa ha generato disequilibrio nella foresta Pando?
Per poter porre rimedio a questa apparentemente inarrestabile decadenza, è fondamentale chiedersi quali siano stati gli elementi che hanno contribuito a rompere l’armonia che aveva garantito la sopravvivenza di Pando per migliaia di anni.
A partire dal 1939 sono stati sempre più evidenti i segni di intrusione umana in quell’area circoscritta.
È stata costruita un’autostrada che taglia in due la foresta, sono nati campeggi ed edificate nuove abitazioni. Il turismo si è moltiplicato esponenzialmente (si stimano ogni anno circa 300.000 visitatori). Di conseguenza, è stata abolita la caccia e sono stati soppressi gli incendi, al fine di non mettere in pericolo i nuovi abitanti della zona. Ma queste azioni hanno avuto delle ripercussioni sugli eventi naturali di quell’antico ecosistema.
La soppressione degli incendi spontanei ha interrotto un importante processo di difesa della foresta.
Il fuoco, infatti, è fondamentale per mantenerne l’equilibrio. Restituisce al terreno nutrienti necessari alla crescita e stimola nelle radici gli ormoni che ne attivano l’assimilazione. In questo modo, una volta estinto, la pianta riprende con maggiore forza e vigore la propria attività vitale e riproduttiva. In assenza di fuoco, i pioppi diminuiscono di numero e vengono sostituiti da specie miste di conifere. Un processo che può essere lungo ma inarrestabile, compromettendo irrimediabilmente la natura dell’organismo.
Inoltre, anche il grave problema del surriscaldamento globale, ha inciso sull’indebolimento delle sue ramificazioni. L’innalzamento delle temperature medie ha provocato l’insorgere di periodi sempre più lunghi di siccità e ridotto l’estensione e la profondità del manto nevoso. Di conseguenza, c’è stato un allungamento della stagione di brucatura, andando a ridurre il naturale tempo di riposo degli alberi. Questi fattori causano la mortalità negli esemplari più vecchi e inibiscono la continuità della clonazione della specie.
Pando rappresenta un sistema a sé stante e unico nella sua peculiarità. È un bene inestimabile che testimonia le potenzialità della natura in termini di custodia, rigenerazione e bilanciamento della vita nel corso di millenni.
La sua salvaguardia richiede necessariamente una ridefinizione della gestione della fauna e delle cause che hanno scatenato l’impoverimento e l’inquinamento del suolo e dell’aria. Azioni necessarie al fine di ripristinare quell’equilibrio che gli ha permesso di sopravvivere per 12.000 anni e giungere fino a noi, testimone di secoli di saggezza innata, propria della Natura a cui ognuno di noi appartiene.
Articolo di Marianna Rozzarin
Testo realizzato nell’ambito del corso Scrivere di Natura