Il silenzio olfattivo

Il silenzio olfattivo: storia della deodorizzazione

 

I sensi non sono persone: ciascun senso è un polipaio di relazioni stabilite.
(Carlo Emilio Gadda)

 

Il silenzio olfattivo mette a tacere un senso tra i più importanti, responsabile delle funzioni di esplorazione, ricerca e selezione all’interno del mondo

 

A partire dalla fine del 1700, gli uomini occidentali smisero gradualmente di tollerare la vicinanza dei cattivi odori e della sporcizia delle città, visti come vizi capitali.

Iniziarono, perciò, ad apprezzare e a riscoprire i profumi che la natura incontaminata poteva offrire. Comparve in tutta Europa una nuova sensibilità, che spinse le classi più abbienti a fuggire dalle “emanazioni sociali” delle città ammalate e a cercare nei boschi e nelle montagne la purezza del respiro che, come dice Corbin, “rivelò l’armonia del loro essere nel mondo”.

L’attenzione al recupero degli odori naturali, però, finì per perdersi a favore di una lotta contro gli odori “cattivi”, fagocitando ogni sforzo olfattivo.

Nel febbraio del 1790 Noël  Hallé ordinò una prima indagine olfattiva sulle due rive della Senna. Da medico, distinse l’odore dei “poveri buoni” da quello dei “poveri irrecuperabili.” Iniziò, quindi,  il processo di deodorizzazione di Parigi, che coinvolse in poco tempo tutte le capitali europee.

Come scrive Lucien Febvre nella sua opera “La Francia moderna. Essenza di filosofia storica dal 1500 al 1640, 1961”: «In quegli anni le ricerche sull’aria da parte della chimica e dalla medicina infezionista, comporteranno un atteggiamento di inquietudine nei confronti degli odori, avvertiti come anticipatori di una potenziale minaccia». Un processo iniziato durante il terribile flagello della peste, che colpì l’Europa a partire dal 1300.

Il sorgere del concetto di individuo, il trionfo della visione borghese di appropriazione del mondo, la lotta di classe in cui il discrimine è tra coloro che “sanno di buono” e coloro che “sanno di sudore”, il rapporto tra anima e corpo, verranno tradotti in termini di metafora medica e olfattiva.

Il Risanamento rappresentò il grande piano di deodorizzazione di Parigi (1852-1869), realizzato dal barone-urbanista Haussmann su commissione di Napoleone III. La frattura fra le due linee di cinta (quella più interna dei Fermiers Généraux e quella più esterna di Thiers) definirà il nuovo confine fra la metropoli ingrandita e le Banlieue, oltre al perimetro del Dipartimento della Senna.

«La presenza alle porte di Parigi, ai confini con i quartieri più popolari, di emanazioni ripugnanti, costituisce una duplice minaccia: quella della salubrità e quella morale, che mettono in pericolo l’intera società.» (L. Roux, Sull’insalubrità e la minaccia alle istituzioni, 1841).

Il silenzio olfattivo e la deodorizzazione hanno risvolti sociali e culturali

E in Italia? Lo sventramento di Napoli rappresentò la risposta italiana al problema del risanamento olfattivo.

“Bisogna sventrare Napoli” fu lo slogan che supportò la richiesta del sindaco Nicola Amore della Legge speciale per Napoli, approvata dal governo nel 1885. Lo slogan ripeteva l’esclamazione del presidente del Consiglio dei ministri, Agostino Depretis, venuto a Napoli assieme a re Umberto I nell’anno del colera. L’espressione fu ripresa dal romanzo di Matilde Serao: “Il ventre di Napoli”.

Senza saperlo, “la profumazione del mondo”, regolata da decreti che contenevano norme severe e dettagliate contro il fetore sociale, porterà, da allora in poi, verso l’eccesso della deodorizzazione a tutti i costi, investendo anche odori che nulla hanno a che vedere con il mefite: il mondo indosserà l’inquietante volto del non-odore o “silenzio olfattivo”. Fino ad oggi.

 

Il silenzio olfattivo, “coprendo” e soffocando a ogni costo gli odori, ha provocato un’incapacità culturale di distinguere il naturale dall’artificiale

 

Perché profumiamo le nostre case con essenze chimiche che ci regalano “un senso di pulizia” ma che nulla hanno a che fare con l’igiene dei nostri ambienti? Lo facciamo, persino, quando consapevoli di inquinare. Abbiamo sviluppato una forte quanto fallace associazione tra odori artificiali (che spesso dichiarano di richiamare i profumi della natura) e una “virtù” di pulizia.

Il recupero degli odori e della nostra capacità di distinguere il naturale dall’artificiale è la sfida odierna e un obiettivo da perseguire. Per ritrovare non solo il nostro olfatto ma anche la cultura del mondo naturale che ci circonda.

L’olfatto è il senso della scoperta profonda.

«L’odorato, come il gusto, stabiliscono rapporti di fusione con il mondo. L’odore permette di avvertire non soltanto le sostanze ma anche le situazioni, i climi, i vissuti esistenziali. Coglie dati estremamente tenui, prerazionali: quelli dell’indicibile che si sprigiona da un essere, da una situazione, da un luogo.», Hubertus Tellenbach, Gusto e atmosfera, 1983

Il dubbio di Balla: la bellezza nello sguardo

Il dubbio di Balla: La bellezza nello sguardo

Giacomo Balla, “Il dubbio”. Dettaglio dello sguardo.

Alcune figure poste dinanzi a noi, ci osservano con intensità, ci scrutano e sussurrano con il loro delicato silenzio che c’è sempre vita oltre ogni umano vacillare. Alcune immagini poste oltre la nostra concreta realtà, ferme e quiete come un faro ci indicano una rotta da seguire. Sono lì, nella sala di un museo o tra le pagine di un testo affinché giungano alla vista dei nostri occhi spesso lontani e sfuggenti.

Il movimento futurista ha fatto comprendere quanto l’incontro di intenti e personalità diverse spesso siano state feconde. Eppure, della scia frenetica futurista che ha abbracciato i settori più diversi, l’abilità degli artisti nel cambiare stile e soffermarsi su aspetti più intimi e quotidiani si impone ancora oggi alla nostra attenzione.

Così è stato per Giacomo Balla (1871/1958) pittore, scultore, scenografo tra i fondatori del movimento. Innegabile è l’importanza da lui rivestita nella Storia dell’Arte in quanto artista poliedrico, creatore di opere innovative e originali, soprattutto perché inserite in quel determinato contesto storico artistico in cui sono nate.

È noto il suo approccio, intorno al 1905, al movimento del Divisionismo per poi arrivare nel 1909 alla svolta futurista con opere in cui la scomposizione della luce e il tema del movimento sono stati gli oggetti principali della sua ricerca. Eppure, di questo passaggio da una calma apparente alla dissoluzione di forme, luci e colori c’è qualcosa che invita alla quiete e al silenzio per dare tregua ai pensieri e al trascorrere dei giorni frenetici. C’è uno sguardo che si ritrova nei ricordi, nella memoria.

Uno sguardo intimo ed enigmatico che ci osserva dal passato reso eterno e invalicabile.

Elisa Marcucci, moglie e musa di Giacomo Balla, ritratta tra il 1907 e il 1908 nell’opera “Il dubbio”, nella sua posa di tre quarti ci suggerisce qualcosa che non si comprende immediatamente e lo fa avvolta in un sensuale gioco di luci e ombre che richiama l’ambiente caravaggesco. La sua espressione invita alla pace interiore, il suo sguardo chiede di fermarci per qualche istante, ed è questa tacita richiesta che ci affascina e ci permette di riflettere.

In una quotidianità fatta di immagini e voci che incessanti scorrono e si impongono ai nostri occhi e alla nostra attenzione, accade che dal lontano 1907 una donna voglia parlarci o più semplicemente desideri invitarci all’ascolto vero e alla ricerca di un senso di bellezza che a volte sembra perduto, capace di colmare ogni vuoto e dare tregua a ogni incertezza.

Ci fermiamo davanti al “Dubbio” di Balla e ci convinciamo che, sempre di più, desideriamo bellezza per i nostri occhi. Imprevista, pura, ribelle.

Imprevista come la parola che non ci aspettiamo, pura come l’aria mattutina, ribelle come il vento tra i rami degli alberi. Una bellezza che riempia ogni spazio e incanti ogni inquietudine.

Desiderando così soffermarci sul fascino del dettaglio e del particolare muto di un passato che ancora palpita di vita. Desiderando che sguardi trasparenti e puri come quello di Elisa Marcucci, avvolti in sapienti giochi di luce e ombra, ci riportino alla vita e diano un ordine e un senso di armonia alla confusione e alla realtà spesso distorta che avvolge gli uomini e le cose.

Giacomo Balla, “Il dubbio”.

Porre dei limiti ai richiami dell’arte significherebbe togliere vita alla sua innata finalità che è soprattutto, tra tante, quella di dare sollievo agli esseri inquieti e far sì che l’indelicatezza propria di alcuni gesti e di alcuni pensieri si addolcisca. E faccia di questo mondo un luogo in cui valga la pena abitare.

 

di Miriam Guzzi