• FILOSOFIA & NEUROSCIENZE • LETTERATURA 8 MARZO 2022
Nutriamoci di parole
di Mariaclara Menenti Savelli
Avete mai pensato di cibarvi di parole e accenti? Di considerare la letteratura come un cibo da odorare, masticare, inghiottire e digerire? Di fare delle parole un nutrimento mentale che offra sapori pungenti, decisi, tattilmente consistenti o odori aspri, dolci, avvolgenti? Di condire le parole con asprezze per farne una pietanza dolceamara, di spargere termini […]

Avete mai pensato di cibarvi di parole e accenti?
Di considerare la letteratura come un cibo da odorare, masticare, inghiottire e digerire? Di fare delle parole un nutrimento mentale che offra sapori pungenti, decisi, tattilmente consistenti o odori aspri, dolci, avvolgenti? Di condire le parole con asprezze per farne una pietanza dolceamara, di spargere termini salmastri in periodi dolcigni, o mascherare un linguaggio arcigno con un velo di dolcezza e servire il tutto come in un menu di cucina fusion?
La letteratura è cibo quando accentua quella sensazione di gusto armonioso e delicato o di disgusto traboccante, indigeribile, soverchio. È cibo quando si spinge dall’appagante profumo di un desiderio ai nauseabondi bocconi amari. Spesso è arte del gusto, in opere da consumare lentamente, in lunghi passaggi dai contorni brucianti, da rigurgitare e ricominciare.
È cibo da meditazione, nella letteratura attenta, ricca di indecifrabili essenze, succosa, carnale, umorale; è assaggio frettoloso nella letteratura pigra, sonnolenta, lattiginosa. La letteratura si tramuta in cibo da consumare velocemente, quando si mostra metafora sociale, racchiudendo, nel suo involucro croccante, incontri e scontri, per rimane poi sulle labbra a sottolineare differenze o somiglianze. Cibo come letteratura tra piatti gourmet irreali e ossessivi, tra pietanze elaborate che nascondono correnti emozionali, tra avanzi e briciole, tra vita e morte, tra mondi che non esistono e sogni possibili.
Spesso la letteratura usa il cibo per condire un linguaggio percettivo e immaginario, per parlare di illusione, piacere e rinuncia, per esplorare porte d’accesso al dualismo, al magico, al rimosso.
Scrittura di un mondo rovesciato, dove il rifiuto del cibo costituisce un simbolo, la manifestazione delle proprie ossessioni, un lucido rifiuto dei fremiti del cuore, del passaggio pulsante della vita nelle vene, di una nuova alterna coscienza.
Molti scrittori e poeti hanno raccontato (attraverso la funzione meccanica e dissociante del cibo che da ghiotta tentazione diviene nutrimento superfluo dei cuori distratti, da bisogno emergente si trasforma in alimento deviante per menti disattente) di terre di speranze e disperazione, di nuove scoperte e di vecchi principi.
Il cibo nei racconti ha spesso il sapore disgustoso del macabro, che sfuma in contorni dolorosi e deliranti, diventando metafora di ciò che è socialmente buono o cattivo, giusto ed ingiusto. Il cibo da semplice alimento estende la sua potenza e mostra il suo obiettivo aggregante. Diventa quantitativamente rilevante e socialmente riconoscibile, comunica, distingue le persone ed i gruppi, unisce identità di dolore.
Cibo non enumerato, non determinato, non tratteggiato nei suoi caratteri più comuni ma compiutamente espressivo, potente, distruttivo, catalizzatore dei mali del mondo, voce di cuori e coscienze, come nei racconti di Nathaniel Hawthorne.
Letteratura che si serve del cibo per allestire banchetti esaltanti e perversi, in cui il cibo rappresenta l’ingresso ad un mondo rituale e primitivo, fungendo da richiamo, da morbosa attrattiva sessuale e vampirica: è fonte di riti magici per desideri e appetiti antropofagi. Il cibo descritto per essere divorato con oscena voracità, poiché è il simbolo di un rituale di morte, uno strumento comunicativo efficace ed espressivo. Tavole imbandite e ricche di cibo morto, elegantemente presentato e rabbiosamente afferrato. Un cibo letterario che ha il gusto ed il profumo del proibito, spartiacque tra la brutalità e bisogno di immortalità, come nei feuilleton di Gaston Leroux.
Cibo che diventa personificazione del contrasto, forma e visione di una società immatura e frivola, segno di rottura e di declino delle coscienze, metafora di un mondo sul ciglio del baratro, che si consegna nelle mani del vizio, del lusso e della gola, per sfuggire orrori e responsabilità. Cibo svelato da contenitori sottili e trasparenti, segno tangibile di bellezza e decadenza morale, presenza viva e corporea, che ostenta se e stesso, esibendosi su un palcoscenico illuminato dallo sfarzo e oscurato dal vizio e dall’apatia, come in Rainer Maria Rilke.
Ma il cibo letterario è anche passaggio, chiave di accesso per una delle tematiche centrali della letteratura scapigliata: il dualismo, la doppia immagine della coscienza. Cibo capace di assolvere la sua funzione perturbante oltre i limiti biologici, mostrando il suo valore simbolico, come ponte tra il mondo dei vivi e quello dei morti, capace di gettarci nell’ombra profonda di una realtà lontana da noi o di mostrarci l’approdo a una più sicura coscienza ordinaria.