• LETTERATURA • SCUOLA DI SCRITTURA 17 MARZO 2022
L’autore dentro il libro
di Mariaclara Menenti Savelli
Dove è finito l’autore dentro il libro? Dove troviamo il piacere di essere fragili, vulnerabili, instabili, incoerenti?

L’autore dentro il libro.
Ci sono libri e autori di cui si parla con passione e spesso con un vero e proprio sentimento di amore. Ci si lascia avvolgere, soffocare, accarezzare come se fossero amanti, amici, complici. Esistono poi autori e libri di cui si parla perché hanno rappresentato il momento topico di una qualche generazione o hanno raccontato di mondi alterati e di falsi miti.
Ci sono autori e libri che raccontano se stessi, che si autorizzano a essere capolavori, che creano dipendenza, rancore, frustrazione, eccitazione.
Autori di cui temi il giudizio mentre leggi voracemente parole pensate e spesso non pronunciate:
Eppure tu… avrai tenuto tra le braccia, come adesso tieni me, chissà quante donne. […] Certo sono tua moglie ma vorrei anche un poco essere la tua amante.
Arthur Schnitzler pubblica questo piccolo spregiudicato capolavoro teatrale, intitolato Reigen (Girotondo), nel 1900. A causa di problemi giudiziari legati ad accuse di pornografia, verrà messo in scena soltanto nel 1920 al Kleines Schauspielhaus di Berlino con la regia di Max Reinhardt.
Un’opera audace, scomoda, intensa, che porta alla luce le ipocrisie delle regole sociali e morali del tempo, imponendo all’amore e al sesso una diversa dimensione, più leggera, effimera, coinvolgente. E Schnitzler lo troviamo lì, dentro la sua opera, dentro tutte le sue opere. Autore dentro il libro.

Le guarda nascere. Si avventura in esse, nei rapporti umani, nella frammentazione dei sentimenti, in un continuo susseguirsi di emozioni, nella bellezza delle parole in cui tutto si cela o si svela.
Tutto in lui è creazione di sogni e suoni.
I suoi scritti sono universi di emozioni e fraintendimenti che si dispiegano sulla tela dell’egoismo umano, della difficoltà dei rapporti, della sovrapposizione dei desideri:
Godimento… estasi… benissimo, non c’è nulla da dire… è qualcosa di certo. In questo momento io godo…d’accordo, lo so, godo. Oppure sono in estasi, va bene. Anche questo è certo. E quando è passato, è passato e basta. Ma appena… come devo dire.. appena non ci si abbandona al momento, e si pensa al prima o al poi… be’, allora è finita: il prima è incerto… il poi è triste… insomma, ci si sente turbati e basta. Non ho ragione?.
Una verità o una parvenza di verità nascosta in un girotondo di parole, araldo di sensazioni dissimulate, in cui il rapporto tra due persone è destinato a perdersi, a dissolversi nell’istante della conoscenza reciproca.
Tutto appare finzione, realtà e finzione, una percezione del mondo che è ricerca estenuante di sentimenti possibili, di interiorità, di percezioni avvolte in belle frasi e che frammentano il reale in minuscole particelle che girano e si disperdono nel vento della quotidianità: “Ma la felicità non esiste. In genere, proprio le cose di cui più si parla non esistono… per esempio l’amore. È esattamente lo stesso”.
Cosa gli si oppone oggi? Di quali arditi sentimenti ci facciamo complici?
Il mainstream e la moderna letteratura o lirica da esposizione in autogrill, magari promossa sul palco di uno spettacolo domenicale, ha deteriorato in questi ultimi anni il rapporto costruttivo tra autore e lettore, riducendolo a un sistema unidirezionale, dove l’autore cita, autocitandosi, sentenze e aforismi, mentre il lettore fa sue e “spara” sul web citazioni delle autocitazioni, convincendosi di sentirle proprie solo perché poco impegnative e facili da interpretare.
Storie di maschietti assaliti da turbinose informazioni sessuali, di loro pensieri che generano ridicoli incontri con le voglie stringenti e passeggere, solo a guardare i lati più in vista di cameriere che vorrebbero soltanto tornare a casa dopo dieci ore di lavoro; di donne con emozioni e appetiti sessuali bloccati, che decidono che sia arte la mancanza di controllo, per poi rimuginare per ore sul perché.
Siamo invasi da “poesiucolaggini” che di impegnato hanno solo la scarsa conoscenza dell’ortografia di una lingua che si dichiara come propria: scalcinati, zoppicanti pensieri ammantati con vesti stropicciate e maleodoranti, da chiacchiere infruttuose sul cambio del tempo, il costo del sacchetto della frutta e i “progressi muscolari” fatti a Zumba.
E tutto è accompagnato da una scrittura che di misterioso e visionario non ha nulla.
Pagine e pagine imbrattate di banalità, infarcite di pedanterie, ricche di “sentito dire”, che viaggiano negli autobus caldi di sudore e svogliatezza, che respirano creme solari al cocco, che puzzano di liquame di sigarette elettroniche, che sono sporchi di sabbia e di noia.
Dove è finito l’autore dentro il libro? Dove troviamo il piacere di essere fragili, vulnerabili, instabili, incoerenti?
Il dolore, come qualsiasi altro sentire, non è qualcosa che accade semplicemente. Non è universale né pretende di esserlo. È relativo, soggettivo, spesso arbitrario, ma mai banale:
E alla fine rimane un rettangolo vuoto, una finestra, una stella dietro una finestra, un lenzuolo steso alla finestra… o forse anche questo è un grande gigantesco incubo (Roberto Bolaño, I detective selvaggi).
E eccolo, Bolaño è lì, dentro il suo libro.

È per questo che dobbiamo tornare a credere che la vera letteratura, la scrittura incorruttibile, visionaria, destabilizzante, esista ancora ed esista nei nuovi scrittori, nei talenti emergenti, nel coraggio del loro sentire, negli artisti a tutto tondo, che scrivono senza aspettarsi like distratti, senza attendere ricompense immediate, che donano la loro scrittura a chi vuole accoglierla e amarla.
In tutti gli scrittori, artisti, autori alla ricerca di sogni e di suoni, che sanno trasformare la loro scrittura in parola artistica che si svela, io credo fermamente e per loro mi batto, perché ogni opera d’arte sia davvero un avvenimento indicibile.
di Mariaclara Menenti Savelli (Editore di Kressida, Storico dell’Arte e Critico Letterario)