• FILOSOFIA & NEUROSCIENZE • LETTERATURA 18 MARZO 2022
Io e Athena ci siamo incontrati in una libreria
di Stefano Brega
Io e Athena ci siamo incontrati in una libreria è il racconto del mio primo incontro con la Filosofia (permettetemi, almeno in questo inizio, di scriverla con la lettera maiuscola). Un incontro che fu talmente improvviso e inaspettato da costituire una memoria indelebile. Da quel giorno molti fatti sono trascorsi. Altrettanti ricordi sono sbiaditi o […]

Io e Athena ci siamo incontrati in una libreria è il racconto del mio primo incontro con la Filosofia (permettetemi, almeno in questo inizio, di scriverla con la lettera maiuscola). Un incontro che fu talmente improvviso e inaspettato da costituire una memoria indelebile.
Da quel giorno molti fatti sono trascorsi. Altrettanti ricordi sono sbiaditi o si sono cancellati. Ma non la vicenda che determinò l’inizio del viaggio, non il suo principio.
Avevo circa 20 anni e come spesso succede non avevo reali convinzioni di cosa volessi essere nella vita.
Avevo confusamente scelto all’università Scienze Naturali e bighellonavo materialmente e mentalmente in attesa di svolgere il servizio militare (allora ancora obbligatorio). Nessun desiderio particolare, nessuna prospettiva illuminava la mia idea di futuro. Fu proprio durante uno di questi vagabondaggi che mi imbattei nella disciplina di Athena.
Ero con un mio amico e come eravamo soliti fare camminavamo senza meta per le vie del centro cittadino, dividendo le nostre discussioni tra un generalizzato e assolutamente non motivato rifiuto della società e cialtronerie boccaccesche.
Nonostante questo, avevamo entrambi anche una parte nobile: l’amore per la lettura e di conseguenza per i libri. Eravamo interessati soprattutto ai libri storici e di divulgazione scientifica. Proprio in virtù di questo interesse, quel giorno entrammo in una libreria (non una di quelle che frequentavamo abitualmente) e incominciammo anche qui a bighellonare tra gli scaffali, leggendo i titoli, sfogliando i libri che ci sembravano interessanti ed esecrando platealmente altri che non ci sembravano assolutamente degni di nota.
Quando ecco che il mio amico si dirige verso una sezione che non eravamo usi frequentare, ovviamente la sezione di filosofia.
Ricordo perfettamente la sensazione di quasi disagio che provai nel leggere i vari titoli sulle costine. Alcuni autori mi erano ovviamente noti, di altri non avevo mai sentito parlare. Io avevo fatto un istituto tecnico e la filosofia non era contemplata in alcun modo nel piano degli studi.
Alla sensazione di disagio subentrò una bizzarra sensazione di straniamento, come se non riuscissi in quel preciso momento a mantenere l’equilibrio di me stesso e come se mi fossi reso conto che il centro su cui poggiava la mia esistenza fosse solo un ciondolare.
Una sensazione rapidissima ma incisiva che stava per farmi allontanare dagli scaffali, quando il mio amico scuotendo leggermente la testa come per annuire, allungò una mano e prese un libro di Nietzsche e più precisamente “Al di là del bene e del male”, lo soppesò per un momento e poi mi annunciò che lo avrebbe acquistato.
Disagio e straniamento furono spazzati via dalla sorpresa e dal senso della sfida.
Allungai una mano anche io verso lo scaffale e simulando sicurezza scelsi un’altra opera di Nietzsche, “L’Anticristo. Maledizione del Cristianesimo”. Perché proprio quest’opera? Perché mi sembrava breve e perché tra le cialtronerie di rifiuto dell’epoca c’era anche una confusa avversione verso il cattolicesimo.
Se di questo episodio riesco a ricordare vividamente i suoni, i colori e persino gli odori, di quello che avvenne immediatamente dopo non ho alcuna memoria. Naturalmente avrò pagato il libro che sarà finito dentro una busta e mi avrà accompagnato per il resto della passeggiata.
La memoria torna vivida se ripenso al momento, al primissimo momento, in cui a casa aprii il libro con l’intenzione di provare a leggerlo.
Le prime frasi della prefazione furono simili ad un colpo fortissimo.
Questo libro si conviene ai pochissimi. Forse di questi non ne vive ancora neppure uno.
Era come se sentissi Nietzsche parlarmi direttamente, con un tono di voce roboante, come se avesse iniziato a indicare una via invitandomi a prenderla ma nello stesso tempo avvertendomi che si trattava di una via pericolosa, irta di problemi e angosce, ma il suo avvertimento aveva totalmente il suono della sfida, una sfida da cui fui irrimediabilmente attratto e che ancora oggi condiziona ogni mia singola giornata.
Divorai il libro, leggendo e rileggendo i vari enunciati, scrivendo le frasi per me maggiormente significative e prendendo la decisione irrevocabile di abbandonare la facoltà che stavo facendo e di iscrivermi al Corso di Laurea in filosofia, sorprendendo tutti coloro che mi conoscevano (in primis i familiari) che si diedero subito da fare per persuadermi a rinunciare e a “smettere di vivere tra le nuvole, perché con la filosofia non troverai mai lavoro”.
Naturalmente nella mia prima lettura di Nietzsche non avevo in realtà compreso quasi nulla. Era una lettura guidata solo dalla sensazione, senza alcuna base che mi permettesse di definire il contesto, la storia, e il senso di quelle affermazioni. Avrei acquisito queste conoscenze solo dopo, approfondendo gli studi, e vedendo sotto un’altra luce quelle frasi che mi erano sembrate pura esaltazione e potere.
Ma non si incomincia ad ardere per una passione in nessun altro modo. Solo con una folgore imprevedibile è possibile accendere un fuoco che non si conosce, dopo si potrà imparare a controllarlo, a riprodurlo, a definirne la potenza.
Ma la folgore iniziale resterà per sempre. E nei momenti più bui sarà possibile accedervi di nuovo per avvertire ancora la meraviglia.
di Stefano Brega, filosofo.