• ARTE • LETTERATURA 20 MARZO 2022
Il dolore nudo di Francis Bacon
di Mariaclara Menenti Savelli
Artista controverso, spesso difficile, crudo, provocatorio, dolente. Anima inquieta, innova la pittura figurativa e ne fa la pittura “della figura”.

Il dolore nudo di Francis Bacon. Bacon nasce a Dublino, il 28 ottobre del 1909 e muore improvvisamente a Madrid il 28 aprile 1992.
Artista controverso, spesso difficile, crudo, provocatorio, dolente. Anima inquieta, innova la pittura figurativa e ne fa la pittura “della figura”.

Appartenente, secondo molti critici, alla corrente del neoromanticismo, al margine del surrealismo, ha stravolto e sconvolto il panorama artistico del suo tempo, con quelle figure umane distorte, frammentate, isolate, contorte in un dolore che accende le tinte e trafigge lo sguardo.
Ciò che voglio fare è distorcere la cosa molto al di là dell’apparenza, ma nella distorsione stessa portarla a una registrazione dell’apparenza.
Nel 1933 dipinge “Crucifixion”, una delle prime opere a essere intercettata dalla critica e che gli permetterà, l’anno dopo, di allestire una Mostra personale che però non riceverà alcuna attenzione.

La delusione sarà talmente forte che Bacon deciderà di distruggere gran parte dei dipinti realizzati negli anni giovanili.
Questo segnerà una svolta nel suo modo di far “sentire l’arte”: figure e sfondo che coincidono su uno stesso piano, immagini isolate, scarnificate, capaci di mostrare scheletro e ossa, visi deformati, figure antropomorfe, strani esseri provenienti da un qualche orrore interiore.
È del 1944 “Three Studies for Figures at the Base of a Crucifixion”, una delle sue opere più conosciute, e che meglio ci fa comprendere il rapporto di Bacon con la letteratura e la poesia. I soggetti dei Tre Studi si ispirano infatti alle Furie dell’Orestea di Eschilo e, come nel primo stasimo della tragedia eschilea in cui Le Erinni avviano un terribile canto di morte danzando selvaggiamente attorno a Oreste, così le figure nel trittico di Bacon appaiono parti anatomiche umane o disumane, in preda a una forza distruttrice che sa di selvaggio e antico.

Deformazioni di parti anatomiche, schiene sformate fino a mostrare i contorni ossei, colli allungati che terminano con un solo occhio, bocche animalesche che chiedono violenza e terrore.
Stesso tema che verrà ripreso nel 1981 proprio con il Triptych Inspired by the Oresteia of Aeschylus.

Le figure diventano insetti ronzanti, destrutturati scheletri, piedi che si allungano come fossero pinne.
“Penso che l’arte sia un’ossessione per la vita e, dato che siamo esseri umani, la nostra più grande ossessione è quella per noi stessi. Secondariamente ci sono gli animali, poi i paesaggi”.
Ma l’opera che sicuramente ha destato maggiore scalpore e indignazione nella critica dell’epoca e nel pubblico, è stata “Head VI” ispirata al Ritratto di papa Innocenzo X di Velázquez – opera che da sempre lo aveva ossessionato – e che rappresentava l’ultimo di sei pannelli che facevano parte della serie Head 1949.

Pennellate forti, stese con una potenza espressiva impressionante e al centro la figura di un uomo, chiuso, intrappolato in una gabbia trasparente, senza aria, dalla quale sa di non poter uscire e il suo urlo è straziante, atroce, furioso.
Il colore cola dal volto, lo sguardo è sciolto, tumefatto, perso. Solo orbite nere, grigiore, paura che si diffonde attorno. Il dolore che scoppia dall’interno e che esplode con un grido sordo, è tutto interiore, e non può essere placato, perché nessuno può conoscerne i motivi. Se confrontiamo “Head IV” con “Pope” del 1958, notiamo i tentativi di Bacon nel ricercare diverse soluzioni stilistiche per descrivere la medesima figura.

Qui l’immagine sembra tracciata come base di riproduzione, tentativo di abbozzare una figura umana, prova di mimetismo con una realtà che appartiene solo al suo sentire esterno e che non è stata ancora interiorizzata. Anche la scelta del colore sembra seguire il suo bisogno di normalizzazione, di avvicinamento alla percezione stessa dell’opera di Velasquez, anche se la postura della figura è già distorta, obliqua rispetto al piano visivo, tutta proiettata a una chiusura verso l’esterno.
L’impatto che si riceve guardando l’opera Head IV è brutale e si avverte decisa la sensazione di soffocamento, e di impotenza. Ci si sente aggrediti e violati in qualche modo.
La veste viola, stropicciata, che ricopre la parte del corpo dipinta, sembra un velo sepolcrale, macchiato di colore marrone, di terra, di putrefazione, di morte. Spinto oltre l’esistenza, la figura sembra desiderare spargersi oltre lo spazio consentito.
È carne viva, pulsante, che diventa tutt’uno con il suo grido, uno straziante bisogno di far uscire il corpo dalla bocca e dagli occhi. La sofferenza di essere umani, lo strazio della condizione di essere umani.
Penso che sia il lieve distacco dal reale, che mi rituffa con maggior violenza nel reale stesso. Attraverso lʹimmagine fotografica mi ritrovo a vagare dentro lʹimmagine e a estrarne quella che ritengo sia la sua realtà più di quanto mi sia possibile semplicemente guardando a quella realtà. E le fotografie non sono solo punti di riferimento; spesso funzionano come detonatori di idee.
di Mariaclara Menenti Savelli (Editore di Kressida, Storico dell’Arte e Critico Letterario)