• LETTERATURA • SCUOLA DI SCRITTURA 8 MARZO 2022
Elogio dell’Imperfetto
Mariaclara Menenti Savelli
I tempi verbali accompagnano le nostre azioni. Funzionano come motori di ricerca: fissano l’istante, aggiungono contorni, mostrano possibilità, filtrano informazioni.

Elogio dell’Imperfetto.
I tempi verbali accompagnano le nostre azioni. Funzionano come motori di ricerca: fissano l’istante, aggiungono contorni, mostrano possibilità, filtrano informazioni.
L’imperfetto è il tempo di uno sguardo a qualcosa di appena passato, un voltarsi lento e appena accennato a tutto ciò che ancora ci segue e segna il nostro passaggio.
La sua etimologia latina imperfectus ci riconduce al non compiuto e che forse è o non è disponibile al compimento. Ma l’imperfetto ha in nuce il divenire, il desiderio o l’idea del miglioramento, la frenesia dell’attuazione, la tensione verso l’inesauribile.
Il perfetto, invece, è il tempo del compiuto o dell’irreparabile. Dal latino perfectus, participio passato del verbo perficere, ovvero finire, completare, impone l’idea del già compiuto, di un irreparabile destino, dell’impossibilità al superamento di ciò che siamo stati e che non saremo.
Perfetto è l’intero, la chiusura fisica e mentale, l’inammissibilità di un accrescimento, di una aggiunta, di una minima postilla al nostro essere. Se sei perfetto appartieni al tempo dell’arrestabile istante, della cristallizzazione dei movimenti e delle azioni che furono e che non più saranno.
Così principio e fine sono racchiusi in un unico guscio, gabbia di ferro dell’illogico che non soddisfa il presente né ipotizza un futuro e ci mostra l’impossibilità di mutare l’anteriore, lasciandocene solo il ricordo.
Quando Schopenhauer parla del tempo come la forma ideale per l’apparizione della volontà, cita il presente come unico solo momento di cui abbiamo il reale possesso:
“La forma dell’apparizione della volontà è solo il presente, non il passato né il futuro; questi non esistono se non per il concetto e per l’incatenamento della coscienza, sottoposta al principio di ragione. Nessuno ha vissuto nel passato, nessuno vivrà nel futuro: il presente è la forma di ogni vita, è un possesso che nessun male può strapparle…Il tempo è come un cerchio che giri infinitamente”.

Il presente è l’atto del sentire momentaneo, fuggevole, arbitrario, frazione di tempo che non discerne il futuro né può voltarsi a guardare il passato.
Il presente è l’apparente, fugace insieme di mille percezioni, un intricato attimo di piacere o di dolore, ma questo istante si trova necessariamente invischiato nella tela di ragno di tutto ciò che siamo stati e che ci ostiniamo a credere di non essere più. Viviamo il presente come l’azione del futuro e ci affidiamo a un tempo che forse sarà, come unica conferma.
Il presente non è essere ma la negazione di esso. E come sottolineava Borges:
“Contrariamente a quanto afferma Schopenhauer nella sua tavola di verità fondamentali, ogni frazione di tempo non riempie simultaneamente lo spazio intero, il tempo non è ubiquo”.
Così mi ostino a essere perché forse sarò e non potrò più essere ciò che sono stato.
L’imperfetto è il tempo della potenzialità, della padronanza del senso, capace di spostare il piano di realtà da un livello all’altro. Si mostra a noi come un filo di lana che si allunga verso un presente futuribile. È il tempo delle istanze, della speranza di poter ancora essere o non essere, la porta di passaggio tra diversi piani, un nuovo spazio d’azione.
L’imperfetto penetra il vuoto oscuro del perfetto mostrandoci la strada verso un viaggio iniziatico alla conoscenza di noi stessi, senza limiti, né strutture logiche, né frazioni oppositive.
“Perché la vita è un istante imperfetto” (F. Kafka). E così, siamo “imperfetto”, sempre.